Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella accolto da Laura Delli Colli, Presidente della Fondazione Cinema per Roma e Claudia Mazzola, Presidente della Fondazione Musica per Roma, al suo arrivo all'Auditorium Parco della Music
2 minuti per la letturaROMA lo ha fatto di nuovo. Per dare sfoggio della sua onnipotenza, ha messo in campo una Festa ricchissima di film, masterclass, incontri d’autore ed eventi collaterali non meno interessanti del programma ufficiale (si pensi a Christian De Sica, venerdì scorso, ospite dello spazio di Roma Lazio Film Commission quasi a sorpresa).
Celebrità, anteprime, conferenze stampa, pranzi, round table, aperitivi e bagni di folla, come quello di ieri per Johnny Depp. Anche stavolta la Festa del Cinema di Roma, in corso da una settimana e in programma fino a domenica, ha voluto strafare. Ogni giorno almeno 10 eventi grandi e piccoli da seguire, tra proiezioni in concorso, fuori concorso, titoli di qualità dentro Alice nella Città, inaugurazioni di mostre, sezioni parallele, documentari, live, showcase, dibattiti e cortometraggi.
Tutto senza sosta, tutto d’un fiato, tutto fagocitato dalla velocità e da un senso di cine-fast-food un po’ ansiogeno. Davvero labile e forse oltrepassato il confine tra offerta molto ricca e opulenza, tra abbondanza e bulimia. Forse perché si tratta dell’ultima edizione diretta da Antonio Monda, il critico-dandy che vive a New York e che ha messo nel board della Festa l’attivista politico del Cinema America, Valerio Carocci. Si è passati, ad un mese di distanza, dalla sobrietà di Venezia allo sfarzo radical-kitsch stile Jep Gambardella.
La Festa è bella, non c’è dubbio, ma per noi addetti ai lavori è praticamente impossibile seguirla e ci ritroviamo ogni giorno a dire molti no e a togliere, anziché mettere, fallendo nella nostra missione di informare e dare spazio anche a progetti più piccoli e indipendenti.
Pluralità dell’offerta? No, una certa lussuria piuttosto, che finisce sempre con il confinare tanti bellissimi documentari o film “sperimentali ”di nicchia” in favore di qualcosa più grande e più pop. Cosa arriva al pubblico nazionale di tutto ciò? Chissà. L’impressione è che Roma sia tornata Roma, boria compresa. Una strafottenza “alla romana” che ben si sposa con la poetica del Marchese del Grillo, la cui mostra è celebrata proprio in questi giorni all’Auditorium.
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