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La spedizione punitiva

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Caso Ferrerio: per i giudici di Crotone non fu tentato omicidio, volevano dare un avvertimento alla persona scambiata per Davide


CROTONE – Non è stato un tentato omicidio perché gli imputati non avevano «previsto» né «voluto» un’«evoluzione così grave della vicenda». Almeno questo dice la sentenza del Tribunale penale che ha condannato a otto anni di reclusione Anna Perugino, la presunta istigatrice della spedizione punitiva nei confronti di Davide Ferrerio, il ventenne bolognese che versa ancora in gravissime condizioni dopo il brutale pestaggio subito l’11 agosto 2022 a Crotone per un clamoroso errore di persona.

CASO FERRERIO: NON FU TENTATO OMICIDIO

Le motivazioni appena depositate spiegano perché l’accusa di concorso anomalo in tentato omicidio è riqualificata in lesioni gravissime. Il collegio presieduto da Edoardo D’Ambrosio entra anche nel merito dell’imputazione contestata all’aggressore, Nicolò Passalacqua. Per il quale la pena, nel troncone processuale svoltosi col rito abbreviato, è stata quasi dimezzata in Appello (da 20 anni e 4 mesi di reclusione a 12 anni e 8 mesi). Ma sempre per tentato omicidio. Una decisione, dunque, che rimette in discussione anche la posizione di Passalacqua. «Ritiene il Tribunale che, alla stregua delle evidenze disponibili, difetti la prova che Passalacqua si sia rappresentato e abbia voluto (nel senso richiesto dal dolo diretto) cagionare la morte della vittima», scrivono i giudici.

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L’APPUNTAMENTO

Quel tragico giovedì di agosto, l’imputato Alessandro Curto (il cui proscioglimento è stato confermato in Appello), che avevamo ribattezzato come il “misterioso corteggiatore”, manifestando la volontà di avere una “storia” con la figlia (allora minorenne) dell’imputata, con la quale chattava sui social, scatenò la curiosità delle due donne. L’uomo, poco più che trentenne, aveva approcciato la ragazzina con le false generalità del suo precedente fidanzato. «All’inizio si sarebbe dovuto trattare di un semplice rimprovero», rileva il Tribunale. Anche perché all’incontro avrebbe partecipato l’altro figlio della donna di appena nove anni che poi espresse il desiderio di consumare un panino presso un locale in centro. Tant’è che il luogo dell’appuntamento fu spostato.

L’imputata chiese a Passalacqua, tramite la figlia, di accompagnarla nei pressi del Palazzo di giustizia. E nel tragitto gli chiese di non partire da Crotone per non lasciare sola la ragazza. Passalacqua lasciò quindi la donna, il compagno Andrej Gaju, poi assolto, e il ragazzino nei pressi della paninoteca e del Tribunale. Passalacqua si allontanò in compagnia di una cugina.

CLIMA DI TENSIONE

Curto chiese alla ragazza di raggiungerlo “al parcheggio dietro il Tribunale”. E la richiesta, secondo la ricostruzione del Tribunale, deve aver suonato come una conferma dei sospetti dell’imputata che riteneva che quell’uomo non avesse buone intenzioni. Da qui l’idea di coinvolgere quel «giovane forte» che manifestava «tante attenzioni» per la ragazza. Un clima di tensione che si ricava anche da una serie di messaggi scambiati via whatsapp dai protagonisti della vicenda. «Perugino deve aver pensato che sarebbe stato meglio presentarsi all’incontro con gli opportuni rinforzi (rispetto all’innocua e pacifica presenza del compagno) data la concreta possibilità di trovarsi ad affrontare una colluttazione fisica». Curto si allontanò dopo aver depistato i potenziali aggressori affermando di indossare una camicia bianca.

«DIMOSTRAZIONE D’AMORE»

Un «dato certo», sempre per i giudici, è che l’imputata chiedesse a Passalacqua una “dimostrazione d’amore”. «Espressione ambigua che oscilla tra la mera protezione dall’aggressione altrui all’aggressione altrui», rileva il Tribunale. Che ammette che Perugino abbia accettato la «possibilità» che venisse usata la forza, sotto forma lesioni, nei confronti del corteggiatore della figlia. Ma, d’altra parte, non vi sono «evidenze da cui desumere con certezza che l’intenzione di Perugino fosse quella diretta di “spaccare la testa” al corteggiatore». Secondo i giudici, insomma, Perugino non intendeva andare «oltre un sonoro rimprovero accentuato da qualche percossa». Anche la circostanza che la donna abbia portato con sé un bambino dimostrerebbe la volontà di non farlo assistere a scene di violenza.

LE INTERCETTAZIONI CHE HANNO PORTATO AD ESCLUDERE IL TENTATO OMICIDIO DI FERRERIO

Il Tribunale valorizza i colloqui intercettati dalla Squadra Mobile nella sala d’attesa della Questura. Dove l’imputata, “a caldo”, dopo aver appresso che Ferrerio era in coma, commentava con la figlia e con Passalacqua che lei «non aveva previsto né voluto un’evoluzione così grave della vicenda». Quando la figlia contestava a sua madre la decisione di aver coinvolto Passalacqua, la donna rispose: «Cosa ne sapevo io».

IL “PACIFICO” RUMENO

«Aspecifica», per i giudici, è l’imputazione per compagno rumeno della donna. Ritenuto «innocuo e pacifico», poiché si sarebbe «limitato a tenere d’occhio e, al più, seguire per qualche metro» Curto mentre si allontanava dal luogo dell’appuntamento. «Tutto da dimostrare» che tale comportamento abbia suscitato un «effetto emulatore» in Passalacqua.

L’AGGRESSORE

Ma i giudici entrano anche nel merito della condotta di Passalacqua che, dopo aver notato il malcapitato Ferrerio con una camicia bianca, lo raggiunse. Inseguendolo e colpendolo durante la corsa con un pugno al cranio e lasciando la vittima in gravissime condizioni sull’asfalto della centralissima via Vittorio Veneto. «Passalacqua – rileva il Tribunale – venne reso edotto della questione del corteggiatore pochi minuti prima del fatto e non ha avuto il tempo di maturare una volontà omicidiaria nei confronti di un soggetto sconosciuto» del quale aveva saputo soltanto che aveva approcciato la ragazza «in modo rude».
I giudici escludono anche un dolo d’impeto. «Se è vero che Passalacqua ha ammesso di “essere andato in bestia”, di aver visto “nero” e di “non aver pensato alle conseguenze” dopo aver visto colui che credeva un molestatore che si dava alla fuga, ciò non implica – è la ricostruzione dei giudici – aver voluto in quel momento cagionare la morte del rivale». Perché si configuri la fattispecie del tentato omicidio, è la precisazione del Tribunale, è necessario un dolo diretto e non eventuale. Il dolo, infatti, richiede «certezza della previsione dell’evento morte».

LA CONSULENZA SUL CASO FERRERIO CONFERMA CHE NON SI TRATTA DI TENTATO OMICIDIO

Decisiva la consulenza, disposta dal Tribunale, del professor Francesco Introna, che in aula ha sostenuto che grazie a un video “migliorato” si può desumere che la vittima non fu colpita con due pugni, come si riteneva prima, di cui uno al cranio, ma soltanto con uno sferrato alla regione frontale, e che sarebbe stato l’impatto col cranio al suolo ad essere letale a causa della fragilità ossea della vittima per una osteogenesi imperfetta “sia pure informa lieve”. Il perito ha ritenuto che la frattura cranica sia stata amplificata dalla caduta “a peso morto”. Ecco perché la dinamica dell’aggressione dall’istruttoria dibattimentale è risultata «sostanzialmente diversa» da quella sostenuta dal pm Pasquale Festa.

Il Tribunale non ha condiviso le osservazioni critiche del medico legale Massimo Rizzo, consulente del pm, e del neurochirurgo Carmelo Sturiale, che segue Ferrerio per i gravi danni cerebrali ed era stato nominato dai familiari della vittima. Per i giudici è «ragionevolmente certo» che Passalacqua abbia sferrato un colpo diretto a Ferrerio non nella parte del cranio interessata dalla frattura ma allo zigomo, e che il colpo abbia determinato la caduta rovinosa. La perizia è stata prodotta dall’avvocato Salvatore Iannone, difensore di Passalacqua, nel processo d’appello. Sulla base degli stessi elementi si registrano due scuole di pensiero della magistratura giudicante, se il rito ordinario e quello abbreviato approdano a conclusioni diverse.

 DIFESA E PARTE CIVILE

I difensori, gli avvocati Aldo Truncè (per Perugino) e Michele Loprete (per Gaju), hanno sostenuto l’estraneità dei loro assistiti al raid, individuando contraddizioni, a loro avviso, in testimonianze e intercettazioni e facendo leva sulla perizia Introna. In particolare, l’avvocato Truncè, che ha assistito anche la ragazza coinvolta nella vicenda (per la quale ha ottenuto l’affidamento in prova ai Servizi sociali), ha osservato che «La riqualificazione giuridica rappresenta un primo passo verso il riconoscimento dell’innocenza».

Gli avvocati di parte civile Fabrizio Gallo e Gabriele Bordoni sollecitavano un risarcimento di un milione e 800mila euro. I giudici hanno condannato l’imputata a una provvisionale immediatamente esecutiva di 500mila euro in favore di Ferrerio e di altri 450mila euro in favore dei familiari, più il risarcimento da liquidare in sede civile; altri 10mila euro l’imputata dovrà versarli a Comune e Provincia di Crotone. Respinta la richiesta del Comune di Bologna.

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