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Sciolto per mafia il Comune di Tropea il 23 aprile scorso, gli ex amministratori fanno ricorso al Tar del Lazio


TROPEA – Gli ex amministratori locali del Comune di Tropea hanno presentato ricorso al Tar del Lazio contro lo scioglimento per infiltrazioni mafiose deciso il 23  aprile scorso dal consiglio dei ministri su proposta del Prefetto di Vibo. Inevitabile dopo la decisione assunta e nonostante le motivazioni che hanno portato alla stessa siano state particolarmente pesanti nei confronti del passato esecutivo di palazzo Sant’Anna. A presentarlo, affidandosi all’avvocato Antonio Morcavallo, del Foro di Cosenza, sono  stati l’ex sindaco Giovanni Macrì, il suo vice, Roberto Scalfari ed altri.

Chiaramente, nel ricorso si chiede l’annullamento, previa sospensione e/o emanazione di ogni altra opportuna misura cautelare, del Decreto di scioglimento, della proposta del Ministero dell’interno e della relativa relazione di accompagnamento, nonché della relazione e proposta di scioglimento del Consiglio comunale per infiltrazioni mafiose a firma del Prefetto di Vibo Valentia, della delibera del Consiglio dei Ministri del 23 aprile scorso, del decreto del Prefetto di Vibo Valentia del 24 aprile, della relazione finale della commissione di accesso, della nota del Dipartimento per gli affari interni e territoriali del Governo e per le Autonomie Locali sempre del 24 aprile, del verbale Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza del 21 febbraio precedente nonché di ogni altro atto anteriore, preordinato, connesso e consequenziale.

Il Comune, adesso gestito dalla terna commissariale inviata dal ministero con a capo il viceprefetto Antonio Micucci (con lui Vito Turco e Antonio Calenda) ha deliberato di resistere in giudizio e lo stesso faranno gli altri apparati statali chiamati in causa dai ricorrenti.
Nelle motivazioni dello scioglimento – pubblicate il 17 maggio scorso – emergeva «la permeabilità dell’ente ai condizionamenti esterni della criminalità organizzata ha arrecato grave pregiudizio agli interessi della collettività e ha determinato la perdita di credibilità dell’istituzione locale». Dirimenti le risultanze dell’operazione antimafia “Olimpo” del 26 gennaio 2023 che ha messo in luce «contenuti che attestano il sostegno prestato dalla locale cosca di ‘ndrangheta a colui che è stato eletto sindaco».

Sotto la lente di osservazione da parte della commissione d’indagine il profilo dei singoli amministratori da cui è emersa «un’intricata rete di rapporti parentali e di assidue frequentazioni tra questi ultimi, componenti dell’apparato burocratico ed esponenti delle locali consorterie, e questo ha condizionato l’attività amministrativa in favore di ambienti controindicati». A finire nell’occhio del ciclone sono stati proprio il sindaco Nino Macrì, «il suo vice Roberto Scalfari ed un assessore comunale» per i quali «e i loro stretti legami per rapporti parentali e/o assidue frequentazioni intercorrenti con esponenti della locale criminalità organizzata, interessati anche da reati associativi».

La relazione sostiene la «vicinanza e la convivialità di tali rapporti e gli stretti legami intercorrenti fra la moglie del maggiorente della cosca», rinviato a giudizio per associazione mafiosa; «la madre di un candidato, divenuto poi assessore e che riveste un ruolo di primo piano nell’ambito dell’amministrazione; la moglie del candidato, divenuto poi sindaco; nonché la moglie di un membro della cosca, anch’egli rinviato a giudizio per associazione mafiosa».

In più si metteva in evidenza il costante e robusto ricorso agli affidamenti diretti che avrebbero «favorito società e/o soggetti riconducibili o, comunque, contigui, alle locali cosche ‘ndranghetistiche». Il risultato sarebbe stato che soltanto poche ditte avrebbero «avuto accesso alle risorse economiche amministrate dal Comune. In particolare, l’amministrazione ha effettuato più di 110 affidamenti diretti in favore di una stessa ditta e 61 ad altra impresa senza gare».  Nella relazione del prefetto si rilevava, poi, come «a partire dal 2019 buona parte degli affidamenti di lavori o servizi sia stata appannaggio di imprese riconducibili alle cosche della “Locale di Mileto”, così come messo in luce nell’operazione “Maestrale-Carthago”».

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