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VIBO VALENTIA – In tutto 57 anni di reclusione con la cadute del reato di omicidio e di tentato omicidio. Questo l’ammontare delle pene inflitte dal gup distrettuale di Catanzaro nei confronti dei sei imputati al processo in abbreviato che prende spunto dall’autobomba che il 9 aprile del 2018 uccise a Limbadi, Matteo Vinci, e che vede anche la contestazione di reati in materia di droga. Entità delle pene che per quanto concerne i presunti esecutori materiali del delitto è nettamente inferiore a quelle richieste dal pm della Dda di Catanzaro, mentre per gli altri imputati, accusati di altri reati, sono grosso modo in linea con quanto chiesto richiesto dalla pubblica accusa.

A carico di Filippo De Marco, 43 anni, di Soriano, e Antonio Criniti, 32 anni, entrambi di Soriano, ritenuti come detto gli autori materiali del delitto che lasciò gravemente ferito anche il padre del biologo 43enne, il gup ha inflitto rispettivamente 10 anni e 8 mesi e 10 anni di reclusione a fronte di una richiesta di pena del carcere a vita: per entrambi sono cadute le contestazioni legate all’omicidio di Vinci e del tentato omicidio del padre Francesco, mentre sono rimaste in piedi solo quelle attinenti alla droga; assoluzione anche per il reato estorsivo.

Poi, 16 anni (20 la richiesta) inflitti a Vito Barbara, 32 anni, di Serra San Bruno, genero di Rosaria Mancuso, a sua volta sorella dei presunti boss Giuseppe, Francesco, Pantaleone e Diego Mancuso. Aderenza totale tra richiesta e sentenza (8 anni) a carico di Domenico Bertucci, 29 anni, di Serra San Bruno; mentre per Pantaleone Mancuso, 59 anni, di Caroni di Limbadi la pena è stata di 9 anni (Per lui la Dda aveva chiesto due mesi in più); 3 anni e 4 mesi infine per Alessandro Mancuso, 24 anni, anch’egli residente nella frazione del piccolo comune del Vibonese (entrambi non hanno legami di parentela esponenti del con il clan di Limbadi), nei confronti dei quali erano stati invocati 7 anni e 8 mesi di reclusione. Parti civili al processo i familiari di Matteo Vinci: il padre Francesco e la madre Sara Scarpulla assistiti dall’avvocato Domenico De Pace. Nel collegio di difesa gli avvocati Francesco Schimio, Giuseppe Orecchio, Vincenzo Cicino, Pamela Tassone, Giovanni Vecchio, Domenico Rosso, Luca Cianferoni e Fabrizio Costarella e Salvatore Campisi.

L’indagine, denominata “Demetra 2” prese spunto dalla precedente inchiesta sull’omicidio di Matteo Vinci finendo col portare alla luce una presunta attività di traffico e spaccio di droga in capo ad una parte degli imputati. Andando nello specifico della contestazioni mosse dal pm Mancuso, Criniti e De Marco dovevano rispondere di omicidio tentato e consumato, aggravato dalle modalità mafiose, futili motivi e premeditazione, per mezzo dell’esplosione della bomba sulla quale viaggiavano i due Vinci. Sempre la contestazione vede i due aver agito in concorso materiale morale con Vito Barbara e Rosaria Mancuso che vengono ritenuti i mandanti dell’attentato, già giudicati nel filone giudiziario parallelo. La causale del delitto risiederebbe, a giudizio degli investigatori, nella necessità da parte dei due presunti esecutori materiali, di saldare un debito di droga, e per questo avrebbero accettato di fabbricare l’ordigno e collocarlo sotto l’auto dei Vinci. Accusa che, tuttavia, unitamente a quella dell’estorsione e della detenzione di armi, era a suo tempo stata annullata dal Riesame.

Associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico è invece la contestazione mossa nei confronti dei due Mancuso, i quali, in concorso con Barbara, Criniti, De Marco e Domenico Bertucci, vengono ritenuti dagli investigatori responsabili di essersi associati per avviare un’attività di coltivazione, trasporto, spaccio e cessione di sostanze stupefacenti quali cocaina, marijuana e hashish. Un presunto traffico che avrebbe anche portato all’acquisto di ben 10 chili di droga.

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