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VIBO VALENTIA – Bruno Emanuele, il presunto boss delle Preserre Vibonesi resta al carcere duro. Una decisione, quella assunta da ministero di Giustizia nella persona del titolare del dicastero, Marta Cartabia, contro la quale i legali dell’uomo, nelle persone degli avvocati Giuseppe Di Renzo e Vincenzo Galeota, hanno annunciato di presentare ricorso.
La prima misura due anni fa. Emanuele si trovava sottoposto al regime di 41 bis dal 29 maggio del 2019 e a gennaio di quest’anno era stata avviata l’istruttoria per verificare se vi fossero motivi attuali per revocarla o meno.
Pertanto, erano state richieste informazioni agli organi di polizia e richieste di dati e valutazioni ai procuratori distrettuali all’esito dei quali le autorità hanno riferito che il gruppo di appartenenza di Bruno Emanuele è attualmente attivo e presente sul territorio e, in concreto, la potenzialità organizzativa dello stesso non è venuta meno, né si sono acquisiti elementi nuovi da cui desumere una minore operatività; non si sono verificate, inoltre, situazioni dalle quali desumere un mutamento del ruolo e della posizione del detenuto all’interno del sodalizio.
Le condanne. Bruno Emanuele è stato, lo ricordiamo, condannato in via definitiva all’ergastolo per il duplice omicidio dei fratelli Giuseppe e Vincenzo Loielo; stessa condanna per quelli commessi a Cassano allo Ionio ai danni di Nicola Abbruzzese e Antonino Bevilacqua (alias Popin), risalenti agli anni 2003 e 2004; altri 24 anni di reclusione se li è visti infliggere, infine, nel processo “Luce nei boschi” per associazione mafiosa e altri reati fine, riconosciuto col ruolo di “braccio armato” della Locale di ’ndrangheta di Ariola di Gerocarne con a capo il boss Antonio Altamura.
Le rivelazioni del pentito. Oltre tali dati di fatto, il ministero richiama anche le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Raffaele Moscato in ordine ai tentativi (mai andati a buon fine) di aiutare il detenuto ad evadere dal carcere, resisi necessari proprio per evitargli una probabile sottoposizione al regime del 41bis: «Diverse volte abbiamo provato a far evadere Bruno Emanuele dal carcere, allo scopo abbiamo fatto decine di incontri – in particolare con un certo Pasquale di Cassano Ionio, con Linuccio Idà, con Giovanni Emmanuele, con Domenico con l’Audi A3, di cui si parlava nelle intercettazioni del “Bar Tony” e con un sodale di Pasquale di Cassano, di cui non ricordo il nome ma che potrei riconoscere in foto. Questi incontri avvennero ripeto decine e decine di volte; discutevamo spesso di questo e l’azione non si è mai portata a termine in quanto arrestavano sempre qualcuno; ad esempio l’ultima volta hanno arrestato Giovanni Emmanuele per il fatto delle armi, nell’operazione denominata “Calibro 12” a Soriano; la penultima volta, invece, era avvenuto l’arresto, in Puglia, di Pasquale di Cassano per cocaina ed eroina nel 2012 o 2013. Dovevamo liberare Bruno Emanuele in quanto temevamo che, per la sua figura criminosa apicale potesse essere mandato al 41 bis; per questa ragione, per evitare che poi non avremmo più potuto farlo».
Le conclusioni. Secondo il ministero della Giustizia, le emergenze descritte fanno ritenere tutt’ora concreta pericolosità sociale del detenuto nonché la possibilità dello stesso di stabilire collegamento al di fuori del carcere.
E se la Dda di Catanzaro ha ritenuto necessario prorogare la misura restrittiva del 41 bis, lo stesso Dicastero ha concordato con tale orientamento in ragione della particolare posizione di responsabilità dell’organizzazione rivestita dar detenuto nell’ambito di appartenenza e del credito dallo stesso posseduto; possono quindi «fondatamente considerarsi tutt’ora sussistente il legame di Bruno Emanuele con il sodalizio e il ruolo da questi rivestito all’intero dello stesso, tutt’ora operante sul territorio e dedito alla commissione di gravi delitti che pregiudicano l’ordine e la sicurezza pubblica»
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