La chiesa voluta dalla mistica di Paravati Natuzza Evolo
3 minuti per la letturaVIBO VALENTIA – Una delle vicende trattate durante il processo “Black Money” contro il clan Mancuso di Limbadi ha riguardato la supposta imposizione da parte del defunto boss Pantaleone Mancuso (Cl. ’47) alla “Fondazione Cuore Immacolato di Maria Rifugio delle Anime” ispirata da Natuzza Evolo, delle ditte che dovevano fornire il calcestruzzo per la costruzione del chiesa dedicato al culto mariano. (LEGGI LA NOTIZIA)
Ed uno dei paragrafi affrontati dai giudici nelle 450 pagine delle motivazioni del verdetto, attiene proprio a quella circostanza che non viene ritenuta, come del resto anche lo stesso Pm Marisa Manzini aveva evidenziato, sintomatica dell’esistenza del reato associativo, caduto poi in sentenza. Centrale era stata la testimonianza di padre Michele Cordiano, al tempo tesoriere della Fondazione, per la quale la pubblica accusa, al termine della requisitoria aveva chiesto la trasmissione degli atti alla Dda per falsa testimonianza.
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SULL’OPERAZIONE BLACK MONEY
Richiesta respinta tuttavia dai giudici «nonostante il suo atteggiamento in fase di escussione» (aveva infatti disconosciuto una buona parte del verbale reso nel 2004 al Gico della Guardia di finanza).
Sul punto erano stati sentiti in udienza i testi Francesco Valenti, Francesco Naso, Padre Cordiano e il titolare della ditta Mirarchi. Il primo aveva riferito di essere titolare della società Sud Beton che si occupava della fornitura di calcestruzzo, e di aver lavorato a Paravati per circa quattro anni; anche il secondo aveva dichiarato di aver lavorato a Paravati, fornendo, con la sua società Fides, calcestruzzo alla ditta Mirarchi per la costruzione di un auditorium relativo al santuario; ricordava di essere stato contattato in occasione di quel lavoro da Valenti il quale gli aveva detto che la zona di Paravati era di sua competenza e che quindi non avrebbe potuto rifornire lui il calcestruzzo; il teste aveva riferito che quest’ultimo lo fece chiamare anche da Pantaleone Mancuso per lo stesso motivo».
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DELLA SENTENZA DEL PROCESSO BLACK MONEY
Ma il defunto boss, pur avendolo contattato, pare che si disinteressò della vicenda e il teste concluse i lavori per la ditta Mirarchi. Escusso in udienza nell’aula bunker del nuovo palazzo di giustizia (luogo in cui si è celebrato il procedimento penale), il titolare dell’impresa riferiva di essersi occupato nel 2002-2003 dei lavori per la Fondazione realizzando l’auditorium e che per effettuare i lavori chiese alcuni preventivi alle ditte della zona e, sulla base di questi decise di rifornirsi di calcestruzzo dalla ditta di Naso; aveva escluso di aver parlato della scelta dei fornitori con padre Cordiano il quale, infine, aveva affermato di aver affidato, a seguito di una gara, alcuni interventi, quali quelli per la costruzione dell’auditorium, alla ditta Mirarchi, che poi si era occupata direttamente della ricerca dei fornitori; il religioso ricordava di aver conosciuto il fornitore di calcestruzzo individuato dalla ditta e che lo stesso si chiamava Francesco Naso. Su «numerose contestazioni del Pubblico Ministero – rilevano ancora i magistrati in sentenza – padre Cordiano aveva negato di aver ricevuto la visita di Mancuso (LEGGI LA NOTIZIA), che diceva di non conoscere, per l’individuazione dei fornitori di calcestruzzo, contestando il contenuto del verbale del 2004 che ammetteva di aver sottoscritto ma dichiarava di non aver riletto» (LEGGI LA NOTIZIA).
Ad ogni modo, per i giudici, la vicenda, oltre a fare riferimento a un periodo antecedente a quello oggetto della presente indagine (2002-2003) «non appare in alcun modo sintomatica dell’esistenza dell’associazione, né tantomeno, alla luce dell’istruttoria svolta, indicativa di una illecita ingerenza da parte di Pantaleone Mancuso cl.’47 nei lavori della Fondazione. Proprio in considerazione dell’irrilevanza della vicenda e del dato che le dichiarazioni di Padre Cordiano non risultano in alcun modo smentite dalle altre testimonianze assunte in merito alle medesime circostanze concludono i magistrati del Tribunale collegiale di Vibo – nonostante l’atteggiamento processuale del teste, non si ritiene di dover accogliere la richiesta di trasmissione degli atti per falsa testimonianza di Padre Cordiano, formulata in sede di conclusioni dal Pubblico Ministero».
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