2 minuti per la lettura
I dettagli della truffa ai sultani omaniti messa in piedi dalla ‘ndrangheta vibonese e al centro del blitz Rinascita 3 Assocompari
VIBO VALENTIA – Anche i ricchi sultani dell’Oman sarebbero stati vittima della ’ndrangheta vibonese. Una truffa di un milione di euro – per come emerge dall’indagine Rinascita 3 Assocumpari” – ai danni di Ali Maqbool, Abdul Redha Shawqui e Mustafa Ardui Rhediia (tutti rappresentati da Faisal Sultan).
La condotta viene contestata a Giovanni Barone, principale personaggio dell’inchiesta, (LEGGI IL SUO PROFILO) il quale, operando in qualità di “componente della cosca Bonavota e reale dominus al 50% della società Veritas, si sarebbe impossessato della somma ottenuta dalla società a titolo di investimento, così sottraendola dalla sua originaria destinazione”.
LEGGI ANCHE: Operazione Rinascita 3 Assocompari, la figura di Giovanni Barone
Accanto a lui avrebbe operato Anthony Rees Guy come concorrente del reato; e ancora Gaetano Lo Schiavo, formale titolare della carica di amministratore delegato della Veritas; Edina Szilagyi come formale gestore della società ed esecutrice materiale della volontà di Barone; Kennet David Baxter, formale titolare della carica di amministratore delegato della società Short List (intestataria del 100% delle quote della Veritas)”.
RINASCITA 3 ASSOCOMPARI, LA TRUFFA AI SULTANI OMANITI
Secondo la prospettazione accusatoria, gli indagati avrebbero dunque concorso nella stipula di un accordo tra la società Veritas e i sultani omaniti avente a oggetto il finanziamento a breve termine corrisposto da questi ultimi nell’ammontare di 1 milione di euro, a fronte dei trasferimento successivo del 30% delle quote sociali della Veritas a! solo scopo di acquistare, sviluppare e vendere il “Dohany Residences di Budapest”, con la finalità di agevolare la cosca Bonavota, in considerazione anche del ruolo strategico nell’ambito imprenditoriale e finanziario ricoperto da Barone all’interno del sodalizio, nonché del fatto che l’operazione consentiva a quest’ultimo di recuperare liquidità in parte utilizzata anche per foraggiare appartenenti al sodalizio e le loro attività imprenditoriali”.
Dalle carte dell’inchiesta si evince “chiaramente come l’intento principale dell’offerta formulata dagli investitori Arabi, fosse quella di “acquisire il 30% del capitale sociale della società al solo scopo di acquistare, sviluppare e vendere il residence di Budapest e per tale ragione si impegnarono a finanziare alla Veritas la somma in questione a condizione che – fosse stato loro ceduto il 30% di “azioni “privilegiate” ovvero di quote “privilegiate-preferenziali” del capitale sociale della Veritas., ribadendo che l’interesse verso tale società era dettato esclusivamente dall’essere l’unica proprietaria del “Dohanv Residence Project”.
Tale somma sarebbe dovuta essere restituita nell’arco temporale massimo di 9 mesi, al termine del quale, e a debito rimesso, le quote privilegiate sarebbero state trasformate in quote ordinarie. Tali pattuizioni si sarebbero dunque tradotte nell’elargizione da parte degli investitori arabi del milione di euro per come emerge dal riscontro dei tre bonifici da 333mila euro ciascuno, a luglio del 2017, che sarebbero stati intascati dagli indagati nel giro di 15 giorni.
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA