La fiaccolata a Seminara per Francesca Romeo
3 minuti per la letturaFRANCESCA Romeo aveva 67 anni e tornava a casa dopo il turno di notte. Non si fa fatica a immaginare l’abnegazione di questi medici: c’è chi ha otto paesi sulle spalle e chiama un telefono che non risponde mai perché il Pronto Soccorso è stato chiuso. Reperibili sempre, appesi alle patologie e alle nevrosi dei pazienti, vittime collaterali di una medicina territoriale smontata, non solo in Calabria.
Ora che il suo paese ricorda Francesca Romeo con una fiaccolata, ora che magistrati e forze dell’ordine lavorano h24 alla ricerca della verità, torna in mente il tragico elenco dei dottori caduti sul lavoro, quelle vie a loro intitolate sulle strade che portano agli ospedali. Come se avessero ucciso un parroco o un maresciallo dei carabinieri: il medico, la guardia medica del paese è un’autorità, è salvezza, un punto di riferimento morale, un’altra figura di riferimento perduta nel tempo della crisi dei partiti e delle istituzioni. Non a caso, i medici sono spesso impegnati nel sociale: come Luigi Ioculano, ucciso a Gioia Tauro nel ’98. La loro vita è aprire ogni giorno ambulatori che si riempiono di anziani, in paesi dove non nascono più bambini, fare visite a domicilio dove c’è sempre la moka pronta per il dottore, indirizzare i cittadini a strutture a mezz’ora d’auto. Sono le comunità di Seminara, Palmi, Santa Cristina a essere state colpite insieme a lei, la dottoressa che amava anche i cani randagi.
Come spesso accade, si nota invece un lieve distacco: è successo in Calabria, ci sarà qualcosa sotto. Anche la frase più volte ascoltata “non sembra un agguato della criminalità organizzata” provoca ulteriore amarezza.
Che cosa cambia, scusate, nella percezione e nella rabbia dei cittadini? Come ha dichiarato Santo Gioffré al Quotidiano, in righe urlate e piene di dolore: “La nostra è una zona considerata periferia, soprattutto l’entroterra, senza tutele di alcun tipo”. E come nei libri di Saverio Strati, anche settant’anni fa i medici non c’erano, salivano qualche volta verso la montagna. Oggi il suo paese, Sant’Agata del Bianco, prova ad organizzarsi da solo con defibrillatore e posto da primo intervento. “Altrimenti – dice il sindaco Domenico Stranieri – rischiamo una vita ogni giorno”.
Cataldo Perri ha fatto il medico di base a Cariati, il paese del basso Jonio cosentino dove l’ospedale chiuso è stato occupato dal Movimento delle Lampare (una protesta salutare che è diventata anche un film: “C’era una volta in Italia”). Piange la sua collega e ne immagina la fatica e il sacrificio. Nel suo prossimo libro, pubblicherà un racconto illuminante e buffo sulle condizioni di lavoro dei medici in Calabria. Chiamato a casa di un piccolo boss agli arresti domiciliari, arriva in un palazzo dove a ogni piano c’è una statua: una tigre, Gesù, un leone e Cicciolina. Il boss è a letto, scherza e dice che “prima è stato in villeggiatura”. Perri è reduce da una chemioterapia, non è in forma smagliante, ma ha risposto alla chiamata del paziente, che è immobilizzato per una frattura e delle ustioni. A un certo punto, l’uomo chiama la moglie a voce alta, chiedendo di portare “quella cosa”. Lei arriva con una statua a rotelle di Padre Pio a grandezza naturale. Dal letto, il boss si rivolge in tono minaccioso al Santo: “Padre Pio prenditela con me, io ho peccato: ma lascia stare il dottore!”.
Ma chi hanno incontrato sulla loro strada, chi voleva male a Francesca Romeo e al marito Antonio Napoli? Vogliamo saperlo presto, perché è una comunità intera che è rimasta orfana. E chi curerà adesso i loro pazienti? Un altro peso sulla coscienza di chi ha sparato, ammesso che ne abbia una.
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