Una panoramica di Archi, quartiere di Reggio Calabria e, nel riquadro, Giorgio Benestare, detto “Franco”
3 minuti per la letturaREGGIO CALABRIA – Alle prime luci di questa mattina, al termine dell’operazionè “Full speed” della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Reggio Calabria diretta dal Procuratore Giovanni Bombardieri, la Squadra Mobile ha dato esecuzione all’ordinanza di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere emessa il 15 luglio scorso su richiesta della Dda dal Gip del Tribunale di Reggio Calabria nei confronti di due 31enni reggini, Emilio Molinetti e Marco Geria, rispettivamente figlio e uomo di fiducia di Gino Molinetti, arrestato nell’operazione “Malefix”.
Sono ritenuti entrambi responsabili di tentato omicidio, ricettazione e danneggiamento a mezzo incendio, tutti aggravati dalla circostanza dell’agevolazione mafiosa.
Le indagini svolte dai poliziotti sotto le direttive dei Sostituti Procuratori della Dda di Reggio Calabria Stefano Musolino e Walter Ignazitto, hanno focalizzato quanto accaduto la mattina del 26 maggio scorso, quando, nel quartiere Archi di Reggio Calabria, un 61enne già condannato in passato per associazione a delinquere di stampo mafioso, venne investito in pieno da un Fiat Doblò bianco mentre passava a piedi in via Croce Cimitero, riportando gravissime lesioni (LEGGI LA NOTIZIA).
L’uomo investito era infatti Giorgio Benestare, detto “Franco”, indicato come già esponente di spicco della cosca De Stefano-Tegano e cognato del boss Orazio De Stefano.
Quello che in apparenza sembrava un semplice incidente stradale, si è invece rivelato un tentato omicidio, programmato da tempo.
Determinante l’incessante attività investigativa condotta dalla Squadra Mobile reggina che ha acquisito e analizzato numerose immagini estrapolate da svariati impianti di video sorveglianza. La precisa ricostruzione dei fatti ha consentito, non solo di acclarare l’esatta dinamica, ma anche di identificare gli autori materiali di quell’investimento. A bordo del Doblò ci sarebbero stati, secondo gli inquirenti, proprio gli uomini arrestati, i quali, dopo aver avuto contezza della presenza della vittima a piedi nel quartiere Archi, hanno recuperato il Fiat Doblò nascosto, in quanto rubato nei mesi passati, e hanno atteso, in zona il momento giusto per investirlo. Non solo, dopo aver fatto inversione di marcia, hanno percorso, questa volta in discesa, la via Croce Cimitero cercando di colpire nuovamente il 61enne, non riuscendovi solo perchè lo stesso, a seguito del primo impatto, era stato sbalzato all’interno di un piccolo ballatoio antistante un’abitazione.
Le indagini hanno consentito di accertare anche il percorso di fuga degli autori del tentato omicidio che, sempre a bordo del Fiat Doblò si sono diretti da Archi verso Gallico e hanno abbandonato l’auto in questione nel greto del torrente Scaccioti dove è stato ritrovato incendiato il giorno dopo da un uomo in sella a uno scooter con targa coperta da un panno di colore giallo. La ricostruzione fatta dagli investigatori ha accertato come l’investimento sia stato il risultato di un piano preordinato e programmato nel tempo.
Agli arrestati, oltre all’aggravante dell’agevolazione mafiosa, sono state contestate – per quanto riguarda il tentato omicidio – le aggravanti della premeditazione e dall’aver agito in condizioni tali da ostacolare la privata difesa, mentre – per quel che concerne i delitti di ricettazione e di danneggiamento a mezzo di incendio dell’autovettura furgonata – la circostanza dell’aver commesso il fatto per eseguire il tentato omicidio del 61enne.
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