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REGGIO CALABRIA – Una vasta operazione della Polizia, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Reggio Calabria, ha portato all’esecuzione di 14 ordinanze di custodia cautelare – 12 in carcere e 2 agli arresti domiciliari – emesse nei confronti di capi, luogotenenti ed affiliati alla temibile cosca Labate intesa “Ti Mangiu” di Reggio Calabria (e che controlla il popoloso quartiere di Gebbione), ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione mafiosa e diverse estorsioni aggravate dal ricorso al metodo mafioso e dalla finalità di aver agevolato la ‘ndrangheta.

L’operazione, denominata “Heliantus”, ha portato anche al sequestro di beni pari al valore di un milione di euro e prevede anche delle aziende operanti nel settore alimentare e della distribuzione di carburanti, tutte nelle disponibilità degli appartenenti alla cosca.

I NOMI DEGLI ARRESTATI

  • Pietro Labate (già detenuto per altra causa e ritenuto responsabile di associazione mafiosa ed estorsione aggravata)
  • Rocco Cassone (cognato di Labate accusato di associazione mafiosa)
  • Santo Gambello (ritenuto responsabile di associazione mafiosa ed estorsione aggravata dal metodo mafioso)
  • Paolo Labate (nato a Reggio Calabria, accusato di associazione mafiosa)
  • Paolo Labate (nato a Cortona, provincia di Arezzo, ritenuto responsabile di associazione mafiosa)
  • Antonio Galante (accusato di associazione mafiosa)
  • Cinzia Caterina Candido (accusata di associazione mafiosa)
  • Francesco Marcellino (associazione mafiosa)
  • Fabio Morabito (associazione mafiosa ed estorsione aggravata dal metodo mafioso)
  • Orazio Assumma (associazione mafiosa ed estorsione aggravata)
  • Domenico Foti (associazione mafiosa ed estorsione aggravata)
  • Domenico Pratesi (detenuto per altra causa e accusato di estorsione aggravata dal metodo mafioso)
  • Antonino Labate (attualmente agli arresti domiciliari presso una struttura sanitaria e ritenuto responsabile di associazione mafiosa ed estorsione aggravata dal metodo mafioso)
  • Antonio Santo Minuto (ai domiciliari, associazione mafiosa ed estorsione aggravata).

L’INCHIESTA

L’inchiesta fa luce sugli affari economici della cosca Labate, svelando un certo dinamismo in alcuni settori illeciti come quello delle scommesse on line, delle slot machines e dello sfruttamento delle corse clandestine di cavalli, mantenendo tuttavia un elevato interesse per quello che rappresenta il core business delle attività criminali da sempre espressione dello strapotere mafioso dei “Ti Mangiu”‘, ossia il sistematico ricorso ad attività estorsive nei confronti di operatori economici, commercianti e titolari di piccole, medie e grandi imprese, specialmente di quelli impegnati nell’esecuzione di appalti nel settore dell’edilizia privata nell’area ricadente sotto il dominio della consorteria mafiosa.

Estorsioni per alcune centinaia di migliaia di euro venivano imposte, con pesanti minacce, agli imprenditori durante i lavori di esecuzione di complessi immobiliari nel quartiere Gebbione di Reggio Calabria. Ad alcuni titolari di imprese veniva anche imposto con la forza dell’intimidazione l’acquisto di prodotti dell’edilizia presso aziende nella disponibilità del clan. Ad un commerciante è stato impedito di aprire una pescheria perché dava fastidio al titolare di un analogo esercizio commerciale, affiliato alla cosca

Le indagini da cui scaturisce l’operazione Helianthus sono iniziate nel 2012 e portarono a distanza di oltre un anno, il 12 luglio 2013, alla cattura del latitante Pietro Labate, leader carismatico e capo storico della cosca. Labate si era sottratto nel mese di aprile 2011 all’arresto in un’operazione contro i capi e i gregari delle cosche Tegano e Labate nell’ambito dell’operazione “Archi”. Una latitanza finita nel 2013 quando investigatori della Squadra Mobile lo localizzavano e catturavano nel suo feudo, mentre si muoveva a bordo di uno scooter vicino al torrente S. Agata. Nel covo in cui aveva trovato rifugio, non distante dal luogo in cui era stato localizzato, vennero scoperte alcune agende sulle quali il boss aveva annotato nomi di persone, importi e denominazioni di ditte rivelatesi determinanti ai fini dell’accertamento delle estorsioni ad alcune attività economiche e commerciali locali. Nell’operazione di oggi è stato arrestato anche il fratello di Pietro Labate, Antonino, reggente della cosca, e il cognato di entrambi Rocco Cassone, nonché luogotenenti e nuove leve della consorteria. Nelle indagini sono state utilizzate intercettazioni e dichiarazioni dei collaboratori di giustizia.

I SEQUESTRI

Nel corso dell’operazione, sono state sequestrate quattro società, nella disponibilità dei capi e dei luogotenenti della cosca LABATE. Si tratta di una stazione di carburanti, di un esercizio commerciale di prodotti surgelati, di un’azienda operante nel settore dei prodotti di carta e plastica per gli alimenti e la ristorazione, di un negozio di vendita al dettaglio di pitture e vernici. Il valore dei beni e di circa un milione di euro.

GLI IMPRENDITORI

Da segnalare inoltre che, per la prima volta, alcuni affermati imprenditori reggini del settore edile ed immobiliare, sentiti dai magistrati della Dda di Reggio Calabria, dopo un’iniziale ritrosia dovuta al comprensibile timore di subire dure rappresaglie, ma desiderosi di liberarsi dall’opprimente giogo estorsivo, hanno deciso di collaborare denunciando di essere vittime di ripetute estorsioni consistenti nel pagamento di ingenti somme di denaro, anche nell’ordine di 200 mila euro, ad esponenti di rilievo e luogotenenti del clan o nell’imposizione dell’acquisto di prodotti dell’edilizia presso attività commerciali nella disponibilità del clan.

LA NEUTRALITA’ DELLA COSCA

Secondo il procuratore capo, Giovanni Bombardieri, «le dichiarazioni dei collaboratori connotato cosca Labate come una cosca che negli anni della guerra di ‘ndrangheta ha preteso una propria neutralità o comunque non schierarsi né da una parte né dall’altra che le ha garantito di crescere e veniva considerata quasi come “la San Marino di Reggio Calabria”».

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