Ciccio Franco, leader simbolico della rivolta di Reggio Calabria
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Sabato scorso, il consiglio comunale della sua città, governato dal centrosinistra, ha commemorato l’ambiguo personaggio di lotta e di governo. Su richiesta del consigliere della Lega, Antonino Minicuci, si è celebrato un minuto di silenzio, concesso dal presidente Enzo Marra eletto nel Pd.
Un solo consigliere si è dissociato, Saverio Pazzano, esponente di area civica benecomunista. L’unico a restare seduto per poi scrivere sulla sua bacheca facebook: “Non ho partecipato al momento di riconoscimento: l’ho fatto per ragioni storiche, civili, politiche, di coscienza. Memoria è parola seria”. Un pensiero coerente ma minoritario, quello antifascista di Pazzano. Ne trovo riscontro, non tanto nell’adesione del sindaco Falcomatà seppur importante ma nella partecipazione all’omaggio del vicesindaco Tonino Perna, storica figura del Sessantotto calabrese e dell’ambientalismo nazionale, che visse quei marosi tumultuosi nella rovente prima linea dello scontro ideologico.
La circostanza ci porta a riflettere sul fatto che Reggio Calabria è oggi quasi pacificata sulla Rivolta, e in particolar modo sul suo leader più rappresentativo. Fu il sindaco Giuseppe Scopelliti, esponente della nuova destra erede del Msi, ad avviare la celebrazione del tribuno nel 2005 facendo erigere un busto in un’aiuola del Lungomare e intitolandogli l’anfiteatro. Scelta condivisa da gran parte dei reggini fatte salve sparute minoranze.
Ma la riconciliazione si era avviata già con l’ex comunista Italo Falcomatà, padre del sindaco attuale, che aveva fatto costruire sul lungomare un monumento a tutte le vittime della Rivolta di Reggio. Falcomatà senior aveva inteso proporre una pacificazione ai suoi cittadini, recuperando anche una lettura di quei complessi fatti, totalmente nuova per la sinistra che aveva sempre considerato fascista quanto accaduto in nome di un pennacchio come scrisse Gaetano Cingari. Il sindaco Falcomatà, che era anche uno storico, recuperava la Rivolta come lotta di popolo, come era stata nella sua origine; e omaggiando i morti, tutti i morti, con un monumento apriva un percorso di condivisione.
Davanti a quel monumento, nell’ottobre del 2010, in occasione del quarantennale dei fatti di Reggio, avviene uno strappo storico utile alla riconciliazione. Giacomo Mancini junior, nipote dell’ex ministro socialista già impiccato in effige come principale responsabile dello scippo del capoluogo, si inginocchia davanti al monumento ai caduti della Rivolta, deponendo un mazzo di fiori. C’è da aggiungere che il giovane Mancini in quel momento era diventato assessore regionale della giunta Scopelliti di centrodestra. La riconciliazione aveva anche un suo ritorno politico giustificato dal postideologico.
A trent’anni dalla morte di Ciccio Franco abbiamo un quadro diverso del 1970. Il sindacalista della Cisnal, mai condannato dai Tribunali, ma coinvolto in fatti oggettivamente eversivi da Milano a Reggio Calabria, nel corso del tempo diventò un rappresentante delle istituzioni. Egli è senatore del Msi (nel 1972 sull’eco della Rivolta la città gli tributa il 48 per cento dei voti, 37 il collegio) per diverse legislature oltre che presenza fissa del consiglio comunale per un trentennio.
Ciccio Franco, nonostante la stagione dei “boia chi molla”, degli attentati ai treni, della presenza di Borghese, oggi appare da morto una sorta di Gerry Adams, il leader che ha pacificato gran parte dell’Ira contro gli inglesi.
Anche Reggio Calabria, che alterna da tempo i suoi consensi oscillando da destra a sinistra, è città strutturalmente cambiata. E’ sempre difficile delimitare la cronaca dalla Storia. A noi sembra che Reggio Calabria sia sempre più riappacificata rispetto alla Rivolta. Tranne qualche minoranza che merita comunque rispetto e ascolto per il suo essere fedele alla linea.
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