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COSENZA – Un uso più razionale della risorsa idrica. E’ quanto chiedono da tempo le organizzazioni agricole alle prese con una siccità che non si vedeva da diversi anni. «Pur avendo una regione ricca di acqua, perché grazie a Dio la Calabria ha delle risorse idriche con le quali si potrebbe irrigare tutta la regione – ha detto il presidente regionale di Coldiretti, Franco Aceto – ci sono delle aree, ad esempio nel crotonese e nel catanzarese, che subiscono ingiustizie e angherie dovute a un utilizzo distorto delle risorse idriche».

Aceto intende riferirsi al conflitto sull’uso dell’acqua fra quello potabile, quello agricolo e quello idroelettrico. Nel grafico che trovate in pagina trovate tutte le dighe esistenti nella nostra regione. Un numero certamente bastevole, soprattutto se si considera l’orografia della Calabria che rende difficoltoso realizzare nuovi invasi. Il problema è che, come si può leggere dallo schema, gran parte delle dighe viene utilizzato per produrre energia elettrica e sono poche quelle che invece vengono utilizzate per l’idropotabile e l’irriguo. Sullo sfondo c’è la vecchia vicenda della A2a che ha in concessione i grandi invasi silani come potete leggere nello schema.

Questa storia parte da lontano e precisamente dagli anni ‘60 quando l’Enel prese in gestione gli invasi per produrre energia. Il funzionamento degli invasi era regolato da una convenzione che stabiliva quanta acqua rilasciare per l’elettricità e quanta per irrigare i campi. Nel 2008 l’Enel ha ceduto questi invasi alla società lombarda A2a ed è iniziato un “conflitto” soprattutto con gli agricoltori dello jonio catanzarese e crotonese. Un problema legato a diversi fattori. Il primo è che i quantativi di acqua da rilasciare per le coltura sono identici a quelli fissati negli anni ‘60, ma da allora ad oggi l’altezza degli invasi è molto diminuita. La seconda è che le coltura sono cambiate. Nel crotonese, ad esempio, c’è stata un’esplosione della coltivazione dei finocchi che hanno necessità di tantissima acqua. Il terzo motivo è il funzionamento di questi invasi che non hanno accumulatori di energia. Per cui A2A la produce al momento. Quando deve farlo, turbina l’acqua per produrre energia e poi la rilascia per i campi. Sulla carta quindi viene rispettata la convenzione che detta un certo quantitativo d’acqua da rilasciare nell’arco di un anno. Il problema è che i tempi fra l’idroelettrico e l’irriguo non sempre coincidono. Una questione alla quale da tempo gli agricoltori stanno chiedendo alla Regione una soluzione da individuare.

Ma non è questo l’unico problema del nostro sistema dighe. Ci sono le eterne incompiute  che in alcuni casi si sono trasformate in devastazioni ambientali e spreco di risorse. Ci riferiamo in particolare alla diga del Melito. E’ recente la decisione del Ministero delle Infrastrutture di revocare al  Consorzio di Bonifica Alli Punta di Copanello, la concessione per la realizzazione della diga del Melito, ponendo fine ad una vicenda lunga trent’anni. Con un costo stimato di 260 milioni di euro, ad oggi sono stati spesi 104 milioni di euro, ma non c’è traccia delle opere infrastrutturali. Ciò che resta dell’area dove doveva sorgere la diga del Melito è uno scempio ambientale, fra terreni espropriati e abbandonati.

L’opera non ha mai visto la luce a causa di un lungo e costosissimo contenzioso tra la stazione appaltante, il Consorzio di Bonifica e la Astaldi, che nel frattempo acquisì il contratto dalla società aggiudicataria della costruzione, la Italstrade spa. «Ci è apparso singolare – dice Rocco Leonetti, presidente dei consorzi di bonifica calabresi – la decisione del ministero. Va ricordato infatti che i consorzi sono solo i delegati alla gestione, ma la proprietà dell’infrastruttura resta in capo alla Regione. Non si capisce quindi perchè dovremmo essere noi consorzi, che fra l’altro non abbiamo risorse, a restituire questi soldi. E che ne facciamo poi delle opere realizzate, degli espropri effettuati?». Mistero, come un mistero sono i rapporti fra la Regione e i Consorzi che gestiscono 11 dighe, tutte su delega di palazzo Campanella. «La Regione deve decidersi a darci una mano sul serio nella gestione di questi invasi – continua Leonetti – perchè noi abbiamo le competenze per farlo come dimostra la recente inaugurazione della diga Re di Sole dopo quarant’anni dall’inizio dei lavori. Lo dimostra anche il fatto che i progetti presentati per il Pnrr sono stati tutti approvati. Ci mancano le risorse finanziarie. Sa quanto ci dà la Regione per la gestione di ogni diga? 12mila euro l’anno. Consideri che per legge le dighe devono avere una guardiania h24. Posto che gli operai fanno turni di 8 ore, questo significa che ne servono almeno 4 per un costo stimato di 32.000 euro l’anno». A questo deve aggiungersi una certa ritrosia dei coltivatori a pagare le cartelle proprio per la carenza d’acqua. Insomma sembra proprio un cane che si morde la coda.

Infine c’è il capitolo incompiute, tra queste la diga sull’Esaro e del Metramo. L’Esaro, progettata dalla Cassa per il Mezzogiorno, doveva nascere nel Comune di Sant’Agata d’Esaro. Fatto il progetto, però, poi si accorsero di un piccolo particolare: non c’era acqua. Quindi si è dovuto realizzare un complesso cunicolo di condotte per portare l’acqua nell’invaso. A tutto questo si è poi aggiunta la frana di un costone della diga. Subito dopo le competenze vennero trasferite dalla Regione a Sorical che si era impegnata a revisionare il progetto dopo aver messo in sicurezza una delle sponde dove doveva sorgere lo sbarramento. Da allora però il progetto resta chiuso in qualche cassetto della Regione e nessuno se ne occupa più.

Storia diversa ha invece la Diga sul Metramo, completata dal 1993. L’acqua dell’invaso non è mai stata utilizzata eppure stiamo parlando di 30 milioni di metri cubi. Nel 2018 è stato annunciato un investimento di 26 milioni di euro, a distanza di tre anni dei lavori non c’è traccia. Se questa è la situazione per Leonetti e i consorzi di bonifica non sono necessarie altre dighe, ne abbiamo abbastanza. Una soluzione, però, potrebbe essere  la realizzazione di mini bacini idraulici. Noi riusciamo a catturare solo l’11% dell’acqua piovana, l’altro 89% delle precipitazioni se ne va direttamente in mare. Con la realizzazione di mini bacini zonali si riuscirebbe a innalzare questa percentuale di acqua meteorica catturata e a trattenerla per poi rilasciarla nel momento in cui serve. Non solo. Se questi mini bacini venissero realizzati con oculatezza, nel momento di rilascio l’acqua per uso agricolo, si può utilizzare anche per la produzione di energia idroelettrica. Però in maniera parsimoniosa, di armoniosa convivenza fra produzione di energia e utilizzo per attività agricola.

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