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Incubo Emilia Romagna per tutti i partiti. Della Calabria sembra non interessi più di tanto a nessuno. Ovvio che una cosa è la regione rossa per antonomasia, quella dove dal dopoguerra ad oggi è sempre stata egemone la sinistra, un’altra una regione del Sud dove nella percezione collettiva c’è una forte presenza della criminalità organizzata e dove però l’alternanza fra centrodestra e centrosinistra si è già verificata con una certa regolarità. Tuttavia questa differenza di attenzione non è che non impressioni.
Può anche darsi che dipenda dal fatto che in Calabria c’è una previsione accettata su come andranno le cose (a favore del centrodestra), mentre l’Emilia è in bilico. Certo dalle elezioni del 2018 la situazione è cambiata, ammesso naturalmente che le elezioni politiche siano paragonabili con le europee: nel primo caso i due blocchi erano quasi appaiati, ma prevaleva il centro sinistra (35,3% contro 33,7%); nel secondo caso la situazione era completamente cambiata con il centrosinistra risalito nei consensi al 38,7%, ma con il centrodestra che lo surclassava col 44,7% (11 punti guadagnati in un anno). E nel frattempo il blocco a trazione salviniana ha conquistato comuni che erano tradizionali bastioni della sinistra (Ferrara, Forlì, Rimini) e anche uno più sensibile alle influenze lombarde (Piacenza).

VITTORIA NON SCONTATA

Tuttavia questo non basta a dare per scontata una vittoria delle truppe salviniane, perché sono pur sempre elezioni in cui vale anche l’aspetto dell’amministrazione locale e la giunta Bonaccini ha un saldo rapporto con il tessuto sociale e produttivo della regione. Questa può essere la forza, ma paradossalmente anche il tallone d’Achille della proposta del centrosinistra.
Tradizionalmente gli amministratori della regione, dal PCI in avanti, hanno avuto come stella polare quello che i cinici chiamano il consociativismo, ma che più banalmente si può definire così: vediamo di accontentare più gente possibile. Ovviamente non proprio tutti allo stesso modo, perché non è possibile e ci sono sempre figli e figliastri. Questo ha indubbiamente creato un forte blocco sociale, ma anche degli scontenti: fra chi rimaneva comunque fuori dalla spartizione delle risorse (magari solo perché era partito tardi e non esisteva che si togliesse a qualche cliente tradizionale per darne ad uno nuovo, neppure se era meritevole), ed anche fra chi pur avendo avuto qualcosa riteneva di avere diritto a qualcosa di più.

GLI OPPOSITORI

Come in tutti i passaggi politici è su questa dicotomia che cercano di far leva gli oppositori del regime al potere. Inutile nascondersi che in alcuni comuni il centrodestra a trazione leghista è riuscito a vincere proprio lavorando su queste dinamiche. A livello regionale però non è chiaro se in questo momento qualcosa di simile può avere successo, perché la debolezza della proposta amministrativa del centrodestra rende guardinghe le classi dirigenti del sistema socio-economico a cambiare cavallo. Da questo punto di vista la campagna elettorale di Salvini, tutta demagogia e provocazioni, eccessivamente incentrata sulla promozione del suo personaggio, non gli ha giovato per sfondare in quegli ambienti (che poi, una volta che il centrodestra eventualmente vincesse, in quei settori non ci saranno problemi a ricalibrarsi è un altro paio di maniche).

VISIONE GENERALE

Il quadro invece cambia se si prende in considerazione la popolazione più in generale. Qui Bonaccini si presenta come colui che ha garantito alla sua regione una situazione economica e sociale invidiabile a paragone del resto d’Italia, ed è indubbiamente vero. Si sottovaluta però che la gente giudica guardando al proprio relativo, non al quadro generale. Prendete la questione della sanità, argomento su cui fa leva la Borgonzoni. La qualità della sanità emiliano-romagnola è nota, la sua capacità di affrontare con la massima efficacia patologie gravi è sperimentata da tutti. Però la gente sa anche che in assenza di situazioni drammatiche ottenere un esame o una visita richiede tempo, e non poco, che prestazioni serie, ma non gravi finiscono in liste d’attesa a cui si sottrae solo chi può pagare in libera professione o ricorrendo al privato. Nelle zone fuori delle grandi aree urbane la situazione si confronta con i disagi connessi alla perifericità rispetto al sistema.
Razionalmente imputare queste problematiche a Bonaccini e alla sua giunta non ha ovviamente senso, ma se le cose vengono guardate a partire dalla psicologia spicciola della gente è un’altra musica. Per fare una citazione dotta, scriveva Tocqueville nel suo libro sull’antico regime e la rivoluzione che quando scattano certo meccanismi si imputano a colpe dell’antico regime anche i conigli del vicino che vengono a brucare sul tuo prato.

PREVISIONI INCERTE

E’ questo quadro che rende rischiose le previsioni sul risultato delle urne in Emilia Romagna, soprattutto perché non saranno semplicemente un derby per decidere se il vincitore sarà Bonaccini o Borgonzoni, ma costituiranno un termometro per valutare lo stato di salute dei vari partiti, a cominciare dal test ovviamente cruciale dei Cinque Stelle (passati dal 27,5% delle politiche 2018 al 12,8% delle europee ed ora dati, ma sarà da verificare, in caduta libera).

Delle regionali in Calabria invece non ci si interessa, perché, diciamolo onestamente, in fondo si pensa che da quelle parti, comunque vada, non cambierà quasi nulla. Soprattutto sembra che ormai ben pochi scommettano che l’ente regione possa essere un motore di riscatto di una parte del paese che ne avrebbe tanto bisogno e che perciò valga la pena di scegliere con attenzione chi mandarci.
Questa sensazione dovrebbe suscitare, almeno nelle nostre classi dirigenti, preoccupazioni maggiori dell’esito delle regionali in Emilia-Romagna.

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