X
<
>

Share
4 minuti per la lettura

LAMEZIA TERME (CATANZARO) – L’ultimo report dell’Istat sulla esclusione sociale nel paese è devastante. Quasi 12 milioni le persone che in Italia sono a rischio povertà, il 20,1% di tutta la popolazione. Un dato che fa riferimento a dati del 2020 e che certamente l’emergenza Covid e gli effetti della guerra in Ucraina su bollette e prezzi rendono già superato. In peggio. Uno dei terminali più sensibili sull’argomento, la Caritas, ha segnalato che il numero di quanti si rivolgono ad essa per un pasto caldo o di generi alimentari di prima necessità in Calabria, è aumentato del 114% rispetto alla fase pre covid, calabresi senza lavoro o con un “lavoro povero” che non consente di assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa come vorrebbe l’articolo 36 della Costituzione. Infine le statistiche Eurostat sul mercato del lavoro nel 2021, (pubblicate a maggio 2022) confermano la Calabria con uno dei peggiori indici di disoccupazione dell’intera UE, un primato ormai costante da decenni che nessuna “annuncite” – termine ormai presente anche nella Treccani e definita come la tendenza parossistica a produrre annunci a getto continuo da parte della politica – riesce a contrastare.

In una situazione del genere il ruolo delle politiche attive del lavoro regionali dovrebbe essere prioritario. Un settore nel quale, tra l’altro, non mancano ingenti disponibilità economiche che giacciono pressocché inutilizzate da almeno tre anni (piano potenziamento Centri per l’impiego varato nel 2019 con 1,5 miliardi di euro) e che dovevano servire a rendere più efficienti i Centri per l’impiego che in alcune aree della regione (Cosenza e Vibo in primis) non dispongono nemmeno di una sede e che in ogni caso sono fortemente sottodimensionati come personale e con strutture tecnologiche obsolete.

In questo quadro c’è poi la vicenda degli ex Navigator i cui contratti scadono a fine ottobre con la regione Calabria che ad oggi sembra non voler chiedere la loro proroga malgrado il ritardo dei concorsi e delle assunzioni in un quadro di grave carenza di personale. I sindacati con un comunicato hanno registrato l’atteggiamento di chiusura della Regione Calabria nei confronti dei Navigator, figure professionali altamente qualificate impegnate nei Centri per l’Impiego, nati con l’obiettivo di supportare i dipendenti di tali uffici nelle diverse fasi previste dal decreto legge 4/2019 (convertito in legge 26/2019), ovvero la presa in carico dei percettori del reddito di cittadinanza, curando, altresì, il raccordo con il sistema delle imprese, le strutture di istruzione e formazione per il patto di formazione, e i Comuni per i patti di inclusione. Si tratta di personale tutto laureato, vincitore di un concorso nazionale, destinatari di ingenti risorse per la loro formazione come ha riconosciuto anche la Corte dei Conti, ma a cui lentamente è stata staccata la spina per ridurre il problema fino a renderlo ininfluente. In Calabria erano inizialmente 170 unità che nel corso di questi tre anni di utilizzo si sono ridotti di circa il 30% avendo molti di loro vinto concorsi in altre pubbliche amministrazioni.

Per i segretari generali della Cgil, Ivan Ferraro e Gregorio Pititto, si tratta di personale che «ha contribuito in questi anni, a garantire alla Regione Calabria il raggiungimento degli obiettivi, relativi al Reddito di cittadinanza, così come dal mese di giugno anche di quelli altamente pretenziosi afferenti al Programma Gol (Garanzia di occupabilità dei lavoratori) in attuazione del Pnrr». Oggi, ci dice un altro sindacalista, cominciamo a leggere toni trionfalistici sui primi dati del primo passaggio burocratico del programma Gol, ma continuano ad esserci i soliti problemi di coordinamento tra i diversi attori e sul legame con una formazione efficace. Il timore è che la dotazione economica sul piano possa sfumare perché non ci sono strutture adeguate a svolgere tutto il percorso.

«Vanno presi in carico in tempi brevissimi decine di migliaia di disoccupati e non basta affermare in maniera burocratica che si sono realizzate diecimila profilature di lavoratori se poi non possono essere presi in carico dal fragile sistema regionale dei servizi al lavoro». «Ci sono Centri per l’Impiego – ci dice un funzionario che non vuole essere citato – in cui per avere una scheda lavoratore occorre attendere anche quindici giorni. Molti Comuni hanno avviato i Puc (Progetti utili alla collettività) solo adesso e hanno bisogno di un supporto per l’avvio, per non parlare dei tirocini per l’inclusione sociale sempre dei Comuni. E questi sono adempimenti di tipo sostanzialmente burocratico da gestire con un sistema operativo che ha continui blocchi e rallentamenti e con strumenti informatici con oltre quindici anni di vita sulle spalle».

«L’inerzia del Governo regionale – continuano ancora i segretari della Cgil- manifesta la volontà di volersi privare dell’esperienza pluriennale maturata da lavoratori che tanto ancora potrebbero contribuire al buon funzionamento dei Centri per l’Impiego e operare fattivamente per il raggiungimento dei Lep (Livelli essenziali delle prestazioni) in materia lavoro di cui spesso si parla promuovendo le tanto discusse politiche attive».

Share

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

Share
Share
EDICOLA DIGITALE