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Gaetano Aloe

CIRÒ MARINA (KR) – La Dda di Catanzaro e i carabinieri stanno valutando i primi racconti di un nuovo collaboratore di giustizia.

Se dovesse risultare attendibile, Gaetano Aloe, 45enne figlio di Nicodemo detto “Nik”, il boss ucciso nel 1987, potrebbe davvero raccontare la storia del “locale” di ‘ndrangheta di Cirò, che, in parte, già conosciamo grazie a una serie di inchieste, la più vasta delle quali è quella che nel gennaio 2018 portò alla maxi operazione “Stige” a cui hanno fatto seguito condanne per oltre un millennio di carcere, e che proprio nelle settimane scorse ha avuto un’appendice con l’operazione “Ultimo Atto”, che ha  colpito le nuove leve del clan.

L’ agguato in cui morì il padre del nuovo, aspirante pentito di mafia rappresentò uno spartiacque perché da quel momento assunsero il comando del “locale” di ‘ndrangheta Giuseppe Farao e Cataldo Marincola. Il procuratore Nicola Gratteri ci va con i piedi di piombo perché ha un’esperienza rodatissima e i suoi sostituti che da anni lavorano ai fianchi le cosche del Crotonese hanno già smascherato un tentativo di alterare dati processuali cristallizzati con sentenze definitive, come quello che mise in atto il super boss di Cutro Nicolino Grande Aracri.

Ma se Aloe dovesse davvero vuotare il sacco, potrebbe svelare informazioni preziose agli inquirenti. Tra gli imputati del processo Stige che nelle settimane scorse erano stati scarcerati, nonostante la condanna anche in Appello quale partecipe dell’associazione mafiosa, nel suo caso a 13 anni e 4 mesi di reclusione, alcuni suoi familiari avrebbero rifiutato il programma di protezione. Del resto, le sorelle Giuseppina e Lucia sono sposate rispettivamente con due pezzi da novanta come Giuseppe Spagnolo e Martino Cariati, plenipotenziari della super cosca cirotana condannati nel processo Stige. Cinque anni fa Aloe era stato arrestato insieme a loro con l’accusa di associazione mafiosa e intestazione fittizia di beni perché, insieme al fratello Francesco, avrebbe gestito il monopolio della raccolta e della rigenerazione di plastica e cartone, attraverso le imprese “Ag Film Srl” di Cirò Marina e “G-Plast Srl” di Torretta di Crucoli.

La vicenda G-Plast peraltro portò allo scioglimento per infiltrazioni mafiose del Comune di Crucoli poiché due ex consiglieri del Pd, Tommaso Arena (peraltro assesore all’epoca) e Gabriele Cerchiara, erano ritenuti interpositori dell’azienda finanziata dal presunto broker della cosca Farao Marincola, Gianfranco Gigliotti. A loro sarebbero state intestate quote del 5% della società, impegnata nell’import-export di film in materiale plastico, al fine di schermare l’ingerenza nella gestione amministrativa e commerciale dei soci occulti Giuseppe Spagnolo, Vittorio Bombardiere, Francesco e Gaetano Aloe, ritenuti esponenti di spicco della consorteria criminale.

Proprio Francesco Aloe, fratello di Gaetano, in passato aveva chiesto di essere interrogato dalla Dda catanzarese per “motivi di giustizia” per spiegare perché era divenuto imprenditore della plastica, ma a un certo punto svelò l’inquietante retroscena che si celerebbe dietro l’omicidio del padre, commesso, a suo dire – almeno questo è quello che gli avrebbe riferito un suo zio – da Vincenzo Pirillo, a sua volta assassinato nell’agosto 2007, su ordine dei fratelli Giuseppe e Silvio Farao. Pirillo venne freddato mentre cenava con la sua famiglia nell’affollatissimo ristorante l’Ekò da un commando composto da cinque persone che ferì, tra gli altri, una bambina che la vittima designata teneva sulle gambe.

«A quell’epoca ero piccolo e non ho potuto oppormi. Ritengo – precisò Francesco Aloe – che il matrimonio sia stato organizzato dai capi della cosca. I miei nonni e i miei zii erano contrari a questo matrimonio per cui sono stati convinti dall’intervento di Giuseppe Farao e Cataldo Marincola. Mi sono spiegato – aggiunse Francesco Aloe – questo intervento come volto a evitare che si continuasse a pensare che mio padre era stato assassinato dagli stessi capi della cosca». E forse non è un caso che il pentito Francesco Farao, figlio del boss Giuseppe, agli inquirenti abbia riferito di aver udito da alcuni componenti della cosca i nomi degli esecutori materiali del delitto Pirillo, tra i quali appunto Gaetano Aloe.

Interessante la versione del pentito Nicola Acri, ex capo del clan di Rossano alleato dei cirotani, che trascorse un periodo di latitanza insieme a Marincola, il quale avrebbe inviato l’”ambasciata” a Spagnolo perché eseguisse l’omicidio insieme ai cognati Cariati e Gaetano Aloe. Cariati aveva addirittura proposto di avvelenare Pirillo ma Marincola si oppose e si arrabbiò per i ritardi. Spuntò anche il piano B, col tandem Acri-Marincola in azione.

L’agguato alla fine si fece, e fu eclatante, e Marincola si buttò latitante in Sila, insieme ad Acri, ma era infuriato in quanto «Aloe aveva combinato un casino, aveva sparato a una bambina», racconta sempre il pentito di Rossano. Poi il boss Marincola, a dire di Acri, fece “salire” anche la famiglia negli appartamenti di Camigliatello. Dopo lo spargimento di sangue, un po’ di vacanza al fresco.

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