Giuseppe Parretta
2 minuti per la letturaOmicidio Parretta, definitivo l’ergastolo per l’uccisione del 18enne
CROTONE – Diventa definitiva la massima pena per l’uomo che uccise, con premeditazione, il 18enne Giuseppe Parretta davanti alla madre, al fratello e alla sorella minorenni e alla fidanzatina. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso difensivo confermando la condanna all’ergastolo per Salvatore Gerace, il 61enne pluripregiudicato accusato di aver assassinato a sangue freddo, il 13 gennaio 2018, Giuseppe Parretta, nella sede dell’associazione “Libere donne” presieduta dalla madre della vittima, Katia Villirillo, che là si era temporaneamente stabilita con i figli.
La sentenza di secondo grado, che confermava l’ergastolo inflitto in primo grado, venne emessa, un anno fa, dopo che era stata riaperta l’istruttoria, nel corso della quale un perito nominato dalla Corte d’assise d’appello di Catanzaro stabilì la facoltà d’intendere e volere dell’imputato, che ha reso ripetutamente dichiarazioni spontanee sostenendo di non aver avuto intenzione di uccidere il povero Giuseppe, in quanto i colpi sarebbero partiti accidentalmente, e di essere andato, quel drammatico sabato pomeriggio, nella sede dell’associazione per parlare con sua madre.
Una tesi evidentemente non ritenuta credibile dai giudici, che, invece, hanno accolto la richiesta di conferma dell’ergastolo avanzata dal sostituto procuratore generale alla quale si sono associati gli avvocati di parte civile, Emanuele Procopio e Vincenzo Nobile, per i familiari della vittima, e Mario Nigro, che rappresenta il Comune di Crotone. La Procura generale ha chiesto il rigetto del ricorso difensivo, predisposto dall’avvocato Danilo Tipo, per inammissibilità.
Gerace fu arrestato nell’immediatezza del fatto dagli agenti ai quali mostrò l’arma del delitto, un revolver calibro 38 riposto su un comò, affermando di aver “fatto quel che doveva fare”. Il povero Giuseppe fu ucciso con quattro colpi di pistola, di cui l’ultimo, che recise l’aorta, fatale. Collimanti vengono ritenute anche dai giudici di secondo grado le testimonianze della madre e dei ragazzi, spettatori di una tragedia di proporzioni immani.
Non è stata ritenuta attendibile, dai giudici, la tesi difensiva secondo cui Parretta, dopo essere stato ferito da un primo colpo sparato da Gerace alla gamba, si sia diretto verso di lui aggredendolo mentre l’imputato continuava a puntargli la pistola.
In Appello la difesa puntava a far riconoscere l’infermità mentale di Gerace. Ma è emerso che l’omicida ha agito con lucida freddezza, nelle piene capacità cognitive e volitive, tant’è che la Corte lo descriveva come «dissimulatore intelligente ed esperto nell’uso delle armi e persino di aspetti legali e procedurali».
Il movente dell’omicidio di Giuseppe Parretta è ricollegabile al particolare livore di Gerace verso la mamma del ragazzo, che con le denunce della sua associazione determinava un via vai di forze dell’ordine nel centro storico, ciò che metteva in crisi l’omicida che vedeva, così, disturbata la sua attività di spaccio di stupefacenti.
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