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CUTRO (KR) – Un incubo riuscito. Si aggiungono nuovi tasselli al mosaico dei racconti dei superstiti del tragico naufragio con almeno 86 vittime accertate (ma potrebbero essere un centinaio) dello scorso 26 febbraio, in vista dell’incidente probatorio. O degli incidenti probatori.

La prima di tre udienze già programmate a carico del presunto scafista non ancora diciottenne inizia oggi dinanzi al Tribunale minorile di Catanzaro, mentre deve essere ancora calendarizzata la parentesi processuale per i coindagati maggiorenni. E la Squadra Mobile della Questura di Crotone lavora intensamente per ricostruire con esattezza il dramma.

Ai primi nove interrogatori depositati se ne sono aggiunti altri dieci, ma gli esperti investigatori stanno sentendo ancora altri testi. Un dramma, dicevamo, che inizia prima della traversata, con minacce a mano armata a chi si rifiutava di salire su una barca in cui si stava gli uni addosso agli altri; un dramma che tocca l’apice in quell’alba infernale e che, anche dopo l’affondamento del barcone, prosegue al Cara S. Anna, dove i testi hanno ancora paura. Paura di denunciare.

«Siamo partiti dall’Iran – dice uno degli 80 scampati al massacro di Steccato – dove ho vissuto per circa 15 anni con tutta la mia famiglia per raggiungere la Turchia nel novembre 2022… siamo venuti a conoscenza del viaggio per l’Italia tramite un organizzatore afghano… quest’ultimo ha telefonato a mio padre e gli ha dato l’indirizzo per raggiungere una casa, siamo giunti con due taxi, c’erano già 50, forse 60 persone… dopo poche ore è arrivato un furgone e siamo saliti tutti, abbiamo raggiunto una nuova zona, da qui siamo stati trasferiti su un camion, siamo arrivati a Izmir dopo undici ore, ci controllava un pakistano seduto al fianco dell’autista. Una volta in spiaggia c’erano tantissime persone, 180, forse 200, ci siamo incamminati verso una foresta. Gli organizzatori ci avevano garantito che c’erano due barche ma ce n’era una sola, di colore bianco, mio padre e altre famiglie hanno iniziato a lamentarsi perché non erano queste le condizioni pattuite, non erano garantite condizioni di sicurezza, ma se qualcuno si fosse rifiutato di salire a bordo veniva minacciato con armi, ci dicevano che non potevamo più rifiutarci, venivamo minacciati di morte. Una volta saliti siamo partiti subito, era notte e mi sono addormentato, quando mi sono svegliato la mattina la barca era ferma per problemi al motore, dopo due ore di attesa è arrivata un’altra barca, siamo saliti su quest’ultima che ci ha portato in Italia».

Il teste ricorda che come garanzia di pagamento suo padre aveva impegnato una villa e un terreno di cui sarebbe divenuto proprietario un mediatore con un trafficante afgano, indicato col nome di Reza Said. Il mediatore avrebbe versato anticipatamente 120mila euro al trafficante. Da un’altra testimonianza emerge che uno dei passeggeri è stato malmenato.

«Solo il pakistano mi ha picchiato, mi ha sferrato un pugno in viso perché volevo salire sopra coperta a fumare una sigaretta». Già, la regola imposta dagli scafisti era che bisognava restare segregati in stiva e uscire soltanto per esigenze fisiologiche. L’incubo sta per materializzarsi, giunti in prossimità della costa, ma non c’è nessun soccorritore neanche da terra che per ore riesca a notare i disperati, stando a un’altra, inquietante testimonianza.

«Sistemata l’avaria al motore – narra un altro superstite – siamo ripartiti verso la costa e l’imbarcazione andava molto veloce, ad una velocità mai adottata prima, i migranti erano terrorizzati, improvvisamente il natante ha urtato contro qualcosa e ha iniziato ad imbarcare acqua, ho preso mio fratello di sei anni e sono salito sopra coperta, il mare era agitato, io, mio zio e mio fratello ci siamo tuffati, mio fratello è morto perché l’acqua era freddissima, siamo stati in acqua tre ore ma mio fratello è morto già alla prima, vedevo le forze dell’ordine ma non riuscivano a vederci, sono riuscito a portare mio fratello in spiaggia ma era già deceduto». Da un’ulteriore testimonianza emerge che il terrore prosegue anche al centro d’accoglienza.

Una superstite racconta il passaggio da un’imbarcazione all’altra, mentre «tutti urlavano», terrorizzati per l’avaria al motore per cui era stato necessario sostituire la prima carretta con una seconda messa peggio, e confessa di avere timore di svelare agli inquirenti chi gestì il trasbordo. «Ho paura che qualcuno possa farmi del male perché la maggior parte delle persone ospiti del campo sono afghane». La donna ricorda la forte accelerazione del natante finché non ha udito un tonfo. «Mi sono ritrovata in acqua, fortunatamente mi sono aggrappata un pezzo di relitto e sono arrivata fino in spiaggia». Un incubo riuscito.

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