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Vito Martino

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I dettagli del tentativo di riorganizzazione del clan di Cutro ad opera di Vito Martino svelato dall’operazione Sahel


CUTRO – Spogliato di ogni ruolo dopo il suo tentativo di collaborazione con la giustizia il boss di Cutro ergastolano Nicolino Grande Aracri, Vito Martino, uno degli storici componenti del gruppo di fuoco della cosca, avrebbe riorganizzato il clan fornendo direttive agli affiliati con videochiamate dal carcere e tramite colloqui coi familiari nel penitenziario. Le nuove leve si sarebbero rimesse all’opera attuando un vasto disegno estorsivo ai danni degli imprenditori del territorio. Lo si evince dalle accuse contestate dalla Dda di Catanzaro agli indagati nell’inchiesta che ha portato all’operazione Sahel, condotta dai carabinieri della Sezione operativa della Compagnia di Crotone.

Trentuno le misure cautelari, di cui 15 in carcere, 7 ai domiciliari e 9 all’obbligo di firma (LEGGI I NOMI). Nessuna collaborazione delle vittime, diversamente da quanto accadde nei mesi scorsi, quando gli inquirenti hanno arrestato alcuni componenti delle famiglie Martino e Ciampà in seguito alle denunce di alcuni imprenditori. L’indagine è stata coordinata dal procuratore Vincenzo Capomolla e dai sostituti Domenico Guarascio e Paolo Sirleo.

L’ORGANIGRAMMA DEL CLAN RIORGANIZZATO DA VITO MARTINO

Vito Martino, in qualità di vertice e promotore, dal carcere avrebbe approfittato dei colloqui, de visu o per il tramite di videochiamate, dando disposizioni alla moglie Veneranda Verni, ai figli Salvatore, Francesco e Luigi e a Salvatore Peta, altro uomo del clan alle sue strette dipendenze. Una donna, dunque, Veneranda Verni avrebbe gestito in prima persona le estorsioni a imprenditori e commercianti ma avrebbe anche incamerato i proventi del traffico di droga da Giuliano Muto classe ’88.

Inoltre, avrebbe intrattenuto rapporti con la consorteria dei Mannolo stanziata nella frazione San Leonardo e sarebbe intervenuta per dirimere controversie. Salvatore Martino avrebbe gestito i rapporti con la cosca Megna di Papanice con la quale erano sorte controversie, ma anche con la cosca Lanzino Patitucci di Cosenza per attività comuni nel campo degli stupefacenti. Carlo Verni, residente a Catanzaro Lido, si sarebbe occupato di estorsioni nel capoluogo regionale. Francesco Martino avrebbe curato i i rapporti con gli affiliati storicamente legati alla cosca Grande Aracri. Salvatore Peta avrebbe incontrato il boss Domenico Megna per appianare i contrasti, ma si sarebbe occupato anche dell’approvvigionamento di stupefacenti.

Antonio Colacino avrebbe gestito i rapporti con la contrapposta famiglia dei Ciampà all’indomani dell’incendio dell’auto di Francesco Martino, avvenuto il 28 dicembre 2021, fornendo consigli sulle imprese da non taglieggiare per evitare i dissidi. Alle riunioni avrebbe partecipato anche Giuseppe Migale Ranieri per concordare strategie sui rapporti da tenere con i Megna che all’indomani del pentimento, poi rivelatosi una farsa, di Grande Aracri volevano allargare la loro influenza su Cutro.

LE ESTORSIONI

Francesco Martino, Giuliano Muto e Veneranda Verni sono accusati di tentate estorsioni al Gruppo DB di Salvatore Grossetti, cui avrebbero imposto di versare somme imprecisate o di assumere Francesco Martino. Salvatore Martino avrebbe imposto, pur essendo sottoposto alla misura cautelare alternativa dell’affidamento in prova, all’amministratore della Todaro srl, Elio Todaro, di versare il pizzo tre volte all’anno. Francesco e Salvatore Martino e Veneranda Verni avrebbero imposto a Luigi e Antonietta Rotondo, titolari dell’azienda produttrice di olio Verdoro del Marchesato, 300 euro mensili al clan.

Gli stessi si sarebbero impossessati di pneumatici dell’azienda Intergomma di Salvatore Divuono. Antonio Musacchio, Vito Muto e i due Giuliano Muto avrebbero imposto all’imprenditore agricolo Domenico Capperi il pagamento di 3500 euro per avere restituito un trattore rubato. “Milano è di cutresi”: con questa frase intimidatoria l’imprenditore Gianfranco Locci, titolare della Edilcocci con sede a Lissone, in provincia di Monza e della Brianza, sarebbe stato costretto da Carlo Verni a versare somme sul conto del coindagato Paolo Fiorentino grazie alla forza d’intimidazione derivante dall’appartenenza alla cosca Grande Aracri.

Francesco Muto, Giuliano Muto classe ’88, Rosario Parrotta, Veneranda e Carlo Verni e Salvatore Martino avrebbero costretto Salvatore Verni, titolare del camping Villaggio Pradiso a Crotone, a promettere somme derivanti dalla vendita di bungalow al fine di alimentare la cassa comune del clan. Vito Muto e Carlo Verni si sarebbero impossessati di una betoniera di un’impresa edile di Catanzaro.

ARMI E DROGA

Luce anche su reati di armi, contestati a componenti delle famiglie Martino e Diletto, e su un traffico di droga gestito da Salvatore Martino, i due Giuliano Muto, Vito Muto, Rosario Parrotta, Salvatore Peta, Rosanna Policastrese. Gli indagati si approvvigionavano di cocaina, hashish e marijuana nelle province di Crotone, Cosenza, Reggio Calabria, Catanzaro e Brindisi la ma la struttura logistica per la custodia e la manipolazione delle sostanze era a Cutro.

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