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«DENUNCIO’ altri tre episodi di violenza sessuale, ma è stata ritenuta inattendibile». L’avvocato Eugenio Bisceglia nel corso della sua arringa ha ricordato che al vaglio della Corte di Appello c’è una corposa memoria, di ben 289 pagine, depositata dalla stessa difesa lo scorso luglio. Si tratterebbe di carte destinate, secondo gli intendimenti degli avvocati, a minare la credibilità della religiosa. Nello specifico i penalisti ricordano che suor T. ha denunciato altri episodi di violenza sessuale, successivi a quelli per cui il frate e Gaudio sono stati condannati in primo grado, che però la magistratura ha archiviato, non ritenendo appunto attendibili le dichiarazioni della suora.
Ebbene, la difesa ha ricordato che il 12 novembre del 2006 suor T. presentò denuncia presso la Squadra Mobile di Roma, riferendo di un “patito sequestro di persona” e di una contestuale violenza sessuale.
La religiosa raccontò che fu avvicinata da un’auto nei pressi della Casa centrale della sua Congregazione (delle Suore francescane dei poveri), a Roma. Disse che un uomo la prese per le braccia, le tappò la bocca con del nastro nero per poi spingerla all’interno dell’auto, guidata da uno sconosciuto. Una volta dentro l’automobile suor T. fu costretta a sdraiarsi. L’uomo si abbassò i pantaloni e, dopo averle tolto i pantaloni della tuta, le calze e strappato i slip, abusò della religiosa. Suor T. disse che il suo violentatore le strappò la canottiera e il reggiseno.
Relativamente a questa presunta violenza la difesa ha ricordato che gli accertamenti sul rilevamento dell’auto da parte di alcune telecamere presenti sul luogo hanno dato esito negativo e che il medico del pronto soccorso ginecologico dell’ospedale San Camillo di Roma non riscontrò alcun segno di violenza sessuale. Per quanto riguarda gli indumenti che sarebbero stati strappati, la difesa ricorda che la Polizia scientifica è giunta alla conclusione che la rottura della maglia intima e del reggiseno sarebbe stata prodotta da una combinazione di un’azione di taglio per mezzo di uno strumento da punta e di una successiva azione di strappo. Anche gli accertamenti biologici hanno dato esito negativo. «In buona sostanza – hanno scritto gli avvocati Bisceglia e Caruso nella loro memoria – ne consegue che il racconto della suora in merito alla presunta violenza dell’11.11.2006 è falso e non veritiero».
Nella memoria si scrive di una seconda denuncia, anche questa ritenuta inattendibile, che la suora presentò il 30 aprile del 2007, sempre a Roma. La religiosa parlò di una violenza subita il precedente 27 aprile, in un appartamento di via Marconi di Roma, intorno alle 18.15. Riferì che un una persona aveva bussato alla sua porta, dicendo di essere il vicino. Aprì e un uomo la spinse contro il muro, somministrandole con la forza una pasticca e delle gocce. Quindi le strappò il vestito e parte della canottiera, per poi violentarla.
Anche in questo caso la difesa ha detto che le lacerazioni degli indumenti intimi «non sono state prodotte da strappo, ma da taglio di coltello o di lama» e che «nessuna violenza vi è mai stata, nessun riscontro a tanto è certificato dal pronto soccorso e che nessuna sostanza è mai stata ingerita dalla suora…».
Gli avvocati di padre Fedele ricordano poi che non ha avuto alcun riscontro l’ulteriore presunta violenza denunciata dalla suora il 28 agosto del 2006, sempre presso la questura di Roma. La religiosa raccontò che il precedente 21 agosto un uomo la spinse nel bagno dell’aeroporto di Reggio Calabria, si tirò giù i pantaloni e la minacciò di ritirare tutto quello che aveva detto nei riguardi di padre Fedele. Quindi, tirati su i pantaloni, andò via.
Nessun risultato – ha insistito la difesa nella sua memoria – anche in merito ai presunti pizzini di minacce che sarebbero stati rinvenuti dalla stessa suora e dalle sue consorelle sulle finestre della casa generalizia: «gli accertamenti di evidenziazione di impronte latenti hanno dato esito negativo, così come la disposta video sorveglianza costata ben 61.500 euro».
Hanno dato esito negativo pure gli accertamenti su un’aggressione denunciata dalla suora, la quale riferì di due uomini che la gettarono per terra sua via Sciarra di Roma, per poi strapparle la catenina d’argento dal collo e minacciarla. La difesa ha detto che tali procedimenti («che minano la credibilità della suora») invece che archiviati dovevano essere inseriti negli atti d’inchiesta sui presunti abusi all’Oasi, «al fine di pervenire a una decisione giusta, “al di là di ogni ragionevole dubbio”». Non è stato fatto. E per questo è stata chiesta la riapertura del dibattimento.
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