Rino Gattuso
2 minuti per la letturaTORINO – “Non vado a caccia di facili consensi, non faccio il simpatico a comando. Sono uno che lavora, che ha sempre lavorato, che ha faticato tanto e che è grato alla vita per quello che gli ha dato. Quando sento dire che sono razzista mi sembra di impazzire. Nessuna persona, mai, può essere giudicata per il colore della pelle. Conosco tanti con la pelle bianca che non si comportano bene. Il razzismo va combattuto, sempre. Ho allenato decine di giocatori che avevano la pelle diversa dalla mia, nel mio ristorante ne lavorano tre, ho avuto compagni di squadra ai quali ho voluto bene. Per me non conta il colore della pelle, conta la persona. La sua onestà, la sua lealtà”.
In una intervista rilasciata a Walter Veltroni per il Corriere della Sera Gennaro Gattuso si difende dalle accuse di razzismo emerse nuovamente dopo esser stato ingaggiato come tecnico dal Valencia a partire dalla prossima stagione.
“Sono molto diverso da come vengo descritto da dodici mesi a questa parte. Si prendono dichiarazioni di anni diversi, le si isola dal contesto e si imbastiscono processi con l’obiettivo di delegittimare una persona, una vita – ha aggiunto – I tribunali sono cose serie: qualcuno accusa, qualcuno difende, qualcuno giudica. Qui il patibolo tecnologico si abbatte e definisce sentenze senza possibilità di appello. Io non sono un tipo da social. Se mi chiamano Ringhio, ci sarà un motivo”.
“Nasco in un paese di pescatori, Corigliano Calabro. I miei erano falegnami. Io ho lasciato casa a dodici anni per fare quello che mi piaceva e che sentivo di saper fare: giocare al calcio. Sono andato a Perugia, da solo. Ho patito tanto, ma in silenzio. Ero piccolo però sapevo che la scelta era quella giusta. Mio padre ha avuto grande coraggio e tanta fiducia in me. Per questo l’ho sempre amato tanto. Mia madre ha pianto molto e mi dispiaceva. Ho vestito più di 70 volte la maglia della Nazionale. Ogni volta che sentivo l’inno di Mameli, anche prima della finale di Berlino, pensavo a quando lei mi urlava di tornare a casa perché stavo, bambino, a giocare sulla spiaggia per otto o dieci ore – ha raccontato l’ex centrocampista del Milan – mio padre è andato a lavorare in Germania per un anno e mezzo. Un quarto della mia famiglia è sparso nel mondo, tutti sono andati a cercare quella fortuna che la Calabria non gli aveva concesso”.
“Come diavolo potrei essere razzista?”, ha evidenziato Gattuso, lanciando infine un messaggio ai tifosi del Valencia. “Desidero solo fare il lavoro che mi piace, con tranquillità. Ed essere giudicato solo per quello – ha concluso – Per ciò che sono, davvero”.
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