A sinistra: i ragazzi dell’associazione Verde Binario che hanno curato il MIAI
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La nuova sede del Miai Museo Interattivo di Archeologia informatica a cura dell’associazione “Verde Binario”, all’ex Cud di Rende, verrà inaugurata il 21 marzo
RENDE – «La nostra attenzione si è focalizzata su istituzioni o grosse aziende che dismettevano sistemi informatici non utilizzabili, perché troppo vecchi, risalenti anche a 20-30 anni prima, ma che erano degni di nota per il loro particolare design, completamente diverso rispetto a quello contemporaneo. Abbiamo iniziato a raccogliere questo materiale, a conservarlo e studiarlo anche spinti dalla riflessione che il computer, e questo è ancor oggi più vero, sia l’oggetto che rappresenta la contemporaneità, la modernità. Si trova dappertutto, in un telefonino, in una lavatrice, in un frigorifero. Per questo motivo abbiamo pensato che questo oggetto sia ‘L’Oggetto’, quello che più di tutti rappresenta la nostra epoca. È interessante guardarlo anche attraverso una prospettiva storica: come si è evoluto dal punto di vista tecnico? E come si è evoluto anche il nostro rapporto con questo strumento?»
Emiliano Russo, curatore del Museo Interattivo di Archeologia Informatica (Miai), insieme ad un gruppo di studenti universitari e giovani lavoratori, dal 2002 fa parte di un gruppo di ricerca che ha recuperato centinaia di reperti di informatica storica risalenti agli anni ’60: enormi mainframe, home e personal computer, workstation professionali, arcaiche console giochi, periferiche hardware di ogni genere e una nutrita biblioteca con documentazione tecnica, manuali e letteratura scientifica.
L’inaugurazione del Miai è prevista per domani, 21 marzo 2025, presso la struttura dell’Ex Cud di Via Cavour a Rende.
Tutto nasce con la costituzione dell’associazione “Verde Binario”, da una discussione critica sul consumo dei beni elettronici, quella che oggi viene identificata con il nome “Obsolescenza programmata”.
«Il mercato costringe a cambiare sempre più frequentemente un computer, una lavatrice o un qualsiasi supporto elettronico – continua Russo –, senza un reale motivo, semplicemente perché il software diventa più esigente in termini di risorse. Abbiamo iniziato a raccogliere questo tipo di dispositivi, che la gente decideva di buttare via. L’altra osservazione fatta all’inizio del nostro percorso è stata questa: i quasi 60 anni trascorsi dalla nascita del computer (nel 1943, ndr) apparivano ere geologiche. Infatti, se noi guardiamo al GE-120, un computer del 1968 che occupa una intera stanza e che abbiamo nel nostro museo, ci accorgiamo che è completamente diverso rispetto a un odierno computer, è come se fosse un ‘dinosauro’, ed è come se invece di 60 anni ne fossero passati 5.000. Quindi, a partire dalle tante riflessioni, abbiamo continuato a studiare questo tipo di reperti».
Durante la raccolta, nel corso degli anni, dove è stata conservata questa mole di oggetti di informatica che oggi forma il Miai a Rende?
«In qualità di associazione studentesca, inizialmente eravamo riusciti a ottenere una piccola sede all’interno dell’Università della Calabria dove, fino al 2008, avevamo conservato tutto il materiale, ma senza possibilità di esporlo. Poi, per una serie di vicissitudini siamo stati costretti ad andare via da quella sede – afferma ancora Russo –, e abbiamo preso in affitto uno stabile in contrada Serraspiga a Cosenza, esponendo per la prima volta al pubblico.
Rimasti lì fino al 2022 – anche se negli ultimi due anni ci siamo fermati a causa della pandemia – e poiché avevamo continuato a mantenere dei rapporti con l’Università, che nel 2017 ci aveva concesso un altro spazio come deposito, tra vecchia e nuova amministrazione siamo riusciti ad ottenere alcuni locali all’interno della struttura dell’ex Cud di Rende, per ospitare in maniera permanente la collezione. In tutto ciò abbiamo cercato di preservare la storia della struttura, conservando i documenti, la biblioteca, le videocassette dei corsi a distanza che faceva l’Università Cud. Tutti conservati e consultabili nella nostra biblioteca».
Il 21 marzo ci sarà la tanto attesa inaugurazione della nuova sede del Miai, Museo interattivo di archeologia informatica, a Rende. Come si potrà accedere?
«Sì, finalmente ci siamo. Rimarremo aperti per un breve periodo soltanto su prenotazione e da quest’estate avremo un orario fisso di apertura. Ad un costo molto basso abbiamo sempre proposto visite guidate. Per il 22 marzo è prevista una apertura speciale con due fasce orarie di visite guidate completamente gratuite, dalle 10 alle 12 e dalle 17 alle 19. La prenotazione è obbligatoria (scrivendo a museo@verdebinario.org, ndr), in quanto non possiamo accogliere più di 15 persone per volta».
I visitatori avranno la possibilità di utilizzare questi apparecchi restaurati e messi in funzione?
«Certo, insieme alla guida potranno utilizzarli. Sarà data loro la possibilità di interagire con le macchine».
Emiliano Russo passa infine ai ringraziamenti
«Un grande ringraziamento va ovviamente all’Unical per aver messo a disposizione lo spazio e per averci ceduto nel tempo una parte significativa delle macchine che abbiamo nel museo. A titolo esemplificativo, nella collezione è presente il Vax 11/780 (1977), ossia il primo computer utilizzato dall’Università per il calcolo scientifico, e sono presenti anche tanti sistemi che provengono dall’ex centro di calcolo. Insomma, c’è anche la storia dell’Università. Tengo inoltre a ringraziare tutti i soci, tutte le realtà affini alla nostra che ci hanno dato materialmente e finanziariamente il loro sostegno. Senza dimenticare Amaele Serino per la bellissima opera fatta sul soffitto dello stabile che ci ospita».
A partecipare artisticamente all’allestimento del museo è proprio Serino, fondatore della Street Art School di Cosenza. Come è nata questa collaborazione tra il Miai e quindi il mondo dell’informatica e l’arte?
«Nel corso di una telefonata – ammette Amaele Serino – Emiliano mi invitava a partecipare al progetto. E anche per l’amicizia con la presidente dell’associazione Verde Binario, Irene De Franco, avevo deciso di fare un sopralluogo alla struttura. Essendo uno storico, l’idea mi ha subito intrigato. L’unica parte dove si poteva intervenire era il soffitto, su cui non avevo mai lavorato. Una situazione difficile, soprattutto per i canoni della Street Art. Le difficoltà sono dovute all’utilizzo degli spray che, normalmente, vengono usati frontalmente.
Verso l’alto sarebbe stato difficoltoso. Non ci siamo però persi d’animo ed abbiamo utilizzato una tecnica mista a spray, pittura e grossi pennarelli. Abbiamo avuto subito l’idea di disegnare componenti elettroniche e schede madri di tutte le epoche, a partire dagli anni ’60 fino ad arrivare agli anni 2000, in modo da far vedere ai visitatori l’evoluzione delle stesse, dei transistor. Sarà infatti possibile vedere cose veramente particolari: le schede avranno i colori originali di ciascuna epoca e le luci di posizione faranno vivere ai visitatori un’esperienza bellissima».
All’opera che ha impreziosito il soffitto hanno partecipato altri artisti?
«Si, insieme a Carmelo Gervasi, abbiamo fatto insieme un ottimo lavoro. Siamo amici e abbiamo fondato 15 anni fa la Street Art School, insegniamo la Street Art nelle scuole, nelle carceri, per risvegliare gli animi e per impegnare i ragazzi che purtroppo stanno tutto il giorno incollati sui social e al telefonino, che oramai costituisce un vero e proprio computer».
Il Miai è un bene comune, un luogo di vita e di ricerca, una “capsula del tempo” sospesa tra passato e futuro in cui è possibile conoscere e studiare l’oggetto più rappresentativo della contemporaneità. Appuntamento, dunque, al prossimo 21 marzo dalle 17.30 presso la struttura dell’Ex Cud di Via Cavour a Rende.
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