X
<
>

Share
4 minuti per la lettura

di ADELAIDE FONGONI*

L’IDEA dell’istituzione della Giornata Mondiale della Lingua Greca nasce nel 2014 su iniziativa del Prof. Jannis Korinthios, allora Presidente della Federazione delle Comunità e Confraternite Elleniche in Italia. È collegata in maniera diretta all’Università della Calabria, perché il suo ideatore ha per molti anni insegnato il greco moderno presso l’Università della Calabria e ha collaborato con l’insegnamento di Filologia bizantina quando ne era titolare il professor Roberto Romano. Organizzata e promossa inizialmente dalla Comunità Ellenica di Napoli e Campania, la Giornata Mondiale della Lingua Greca è stata istituita ufficialmente nel 2017 dal Parlamento Ellenico che ha scelto il 9 febbraio, data in cui ricorre la morte del poeta nazionale greco Dionysios Solomos.

La Giornata Mondiale della Lingua Greca è ormai un appuntamento di particolare rilevanza in Grecia e nei paesi in cui risiedono importanti comunità greche. Ogni anno è celebrata in tutto il mondo con una serie di iniziative culturali sia in ambito scolastico che universitario, volte a promuovere l’insegnamento del greco antico e moderno e a dimostrare il ruolo fondamentale che la lingua greca ha rivestito e continua a rivestire nella formazione della civiltà europea e mondiale (lo consideriamo spesso scontato, ma non è male sostenere questa convinzione con qualche lettura recente caratterizzata da un passo al tempo stesso divulgativo e rigoroso, come il libro di Giorgio Ieranò: Le parole della nostra storia. Perchè il greco ci riguarda, Marsilio 2020, da cui sono tratti gli esempi che seguono).

Il greco dopo il greco

A ragione John Keats dichiarava a inizio Ottocento: “Siamo tutti greci. Le nostre leggi, la nostra letteratura, la nostra religione, le nostre arti hanno le loro radici in Grecia”. La lingua non è solo strumento di espressione e comunicazione, ma veicolo di cultura e di storia. E la lingua greca, in particolare, ha un vivo legame formale e sostanziale con la democrazia, la filosofia, la scienza, la poesia, il teatro e mostra, ancora oggi, la sua ricchezza, la sua plasticità nella formazione di parole di nuovo conio che sintetizzano concetti elaborati successivamente. Insomma, una lingua morta che non muore mai.

Basta soffermarsi su alcuni termini di uso comune composti solo in epoca moderna a partire da termini greci, dunque non presenti nel ‘vocabolario’ dell’antichità. Si pensi, ad esempio, a “utopia”, il “luogo che non c’è”, parola coniata da Tommaso Moro (dalla negazione greca ou combinata con topos, ‘luogo’) per designare il nome dell’isola in cui viveva una società solo immaginata, descritta nel suo Libellus che vuole disegnare un modello ideale di società, una optima res publica, affatto differente dallo Stato corrotto in cui, di lì a poco, sarebbe stato condannato a morte.

Trascorrono i secoli, e nella Francia ancora scossa dall’affaire Dreyfus, capitano ebreo dell’esercito francese ingiustamente accusato di tradimento, lo scrittore Anatole France, sebbene non mancassero le parole di origine greca utilizzate per apostrofare i razzisti, preferisce coniarne una nuova, xenofobos, ossia “che teme lo straniero”. Il lemma xénophobe entrerà poi a far parte del Dizionario Larousse a partire dal 1906. Il vocabolo sottolineava la contrapposizione tra l’odio e il timore verso gli stranieri da parte di alcuni esponenti della società francese del tempo e la civiltà dell’antica Grecia in cui la xenìa, intesa come ospitalità sacra protetta da Zeus stesso (Zeus Xenios), costituiva un valore irrinunciabile e inviolabile, e venir meno ai suoi principi significava un’offesa a Zeus stesso. E se nell’Odissea i Feaci sono un popolo civile e ospitale, il ciclope Polifemo, malvagio e crudele, condensa, nel suo essere mostruoso, le caratteristiche dello “xenofobo”(ovviamente ante litteram) per eccellenza, manifestandole attraverso la violazione di ogni principio di ospitalità.

Particolare diffusione e affermazione ha avuto inoltre la parola “nostalgia”, composta da nostos (ritorno) e àlgos (sofferenza), creata nel 1688 per designare lo stato d’animo dei mercenari svizzeri impegnati a combattere in Europa in Paesi più o meno lontani dalle loro verdi vallate. Fu proprio un giovane studioso di medicina di appena diciannove anni, Johannes Hofer, che, discutendo la sua tesi di laurea incentrata sullo studio di questa particolare ‘malattia’ degli Svizzeri, deciderà di chiamarla, appunto, “nostalgia”, certamente memore dei nòstoi, dei ’viaggi di ritorno’ degli eroi che da Troia ritornarono, con alterne fortune, ciascuno nella propria patria.

Per concludere, anche la parola “ecologia” è di nuovo conio e compare in uno studio del 1866, Morfologia generale degli organismi, del biologo prussiano Hernst Haeckel. Composto, come tutti sanno, da oikos (casa) e lògos (discorso) indicava, per lo scienziato, il complesso dei fenomeni che regolano il rapporto tra gli uomini e l’ambiente in cui vivono, la loro ‘casa’, appunto. Se una lingua può essere la casa di un mondo, credo che al greco possa toccare questo ruolo.

*Letteratura greca, Dipartimento di Studi Umanistici – Università della Calabria

Share

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

Share
Share
EDICOLA DIGITALE