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Gli studenti dell’Unical indecisi sulla realizzazione della città unica tra Cosenza Rende e Castrolibero; perplessità sulla fusione ma tanta ironia sul nome


«NON so», «non saprei», «è indifferente». Volendo azzardare un’iperbole, si potrebbe ironicamente pensare che siamo lontanissimi dal mito di Alessandro Magno che, a poco più di 20 anni, conquistava territori e costituiva un impero. I giovanissimi di oggi sembrano sempre più demoralizzati, disillusi e lontani dalla politica, tanto che, anche sulla “vicinissima” questione del referendum per la città unica, tra i cubi dell’Unical, si respira un’aria tiepida e la questione è percepita distante, quasi – o a mala pena – per «sentito dire».

Il motivo è semplice: «se i politici, di destra o di sinistra che siano, non riescono a gestire e far funzionare piccoli comuni, figuriamoci mettere nelle loro mani un’area così vasta come potrebbe essere quella di Cosenza, Rende e Castrolibero unificata. Danni fanno e danni faranno, il nostro parere è relativo», dice qualcuno. E questa sfiducia latente, questa demotivazione generale, è il primo dato che emerge da una passeggiata sul ponte “Pietro Bucci”.

L’approccio però è migliore quando si abbandona il “politichese” e ci si addentra nelle chiacchiere – mai banali – della vita vissuta e dell’esperienza personale: lasciati parlare a briglie sciolte, i ragazzi dimostrano una maturità critica, un acuto senso di osservazione e una forte sensibilità che si traduce a volte nel «preservare l’identità del mio paese» e a volte nel sentirsi «parte di un’unica grande città, generalmente chiamata Cosenza».

Un gruppo di studenti dell’Unical intervistati sul Ponte Bucci

Tuttavia, alcuni punti accomunano i ragazzi che studiano all’Università della Calabria: residenti e non rintracciano nella città di Rende la loro “culla”, «curata nei minimi dettagli e multietnica per via della presenza “Erasmus”», un posto in cui «sia a livello di servizi, sia a livello ricreativo o di urbanistica, si è avanti». Talmente avanti che c’è anche chi si domanda, senza sapersi dare una risposta precisa se, attraverso la fusione, «progredisca Cosenza o regredisca Rende».
C’è un po’ di confusione e, ad un passo dal primo dicembre, ancora molte perplessità: ci si chiede a chi possa giovare o su chi possa gravare la fusione – sicuramente non sembra apparire un bene per tutti – tant’è che uno studente di Giurisprudenza originario di Castrolibero ammette: «Penso che il mio comune è sano. La situazione economica di Cosenza e Rende, invece, diciamo che non è molto brillante e non so quanto questa situazione possa alla fine penalizzarci». E c’è anche qualche cosentino doc che, sull’onda di una non meglio specificata, ma certamente simpatica, emotività sportiva rossoblu, nel dubbio di come la faccenda potrebbe evolvere in futuro, «preferirebbe lasciare inalterato lo status quo».

Varie argomentazioni, anche le più disparate, sembrano comunque far pendere la bilancia – seppur «sinceramente poco consapevole» – dei giovani verso il “no”, il più delle volte frutto «di principio e fede nella propria “bandiera cittadina”». Ma non manca ovviamente chi, come una studentessa di Scienze naturali e ambientali residente a Cosenza, vede nell’unione dei tre comuni «una possibilità, una grande opportunità di crescita e sviluppo collettivo di una grande comunità che, di fatto, è già unita da un pezzo, sia socialmente che in un’ottica urbana d’insieme». Nello stesso gruppo, poi, il dibattito si accende e coinvolge ragazzi provenienti da ogni parte della Calabria i quali, seppur solo spettatori del voto, esprimono il pensiero comunque rilevante di chi respira il territorio per gran parte dell’anno.

Un gruppo di studenti dell’Unical intervistati sulla città unica

Reggio, Crotone, Vibo, Lamezia, da Nord a Sud, dal Tirreno allo Jonio, il pensiero della maggioranza si sintetizza con le parole di Chiara, di Scienze politiche: «Andiamo, su, non prendiamoci in giro, anche se stiamo a Rende, salendo da Reggio diciamo sempre “andiamo a Cosenza”, è già una città unica ed è così da anni. Anzi, c’è da chiedersi perché non ci hanno pensato prima». E subito arriva la replica di un collega: «Ma visivamente dici, nel senso che vedi una casa appresso all’altra e non sai dove finisce un comune e comincia l’altro. Posto che, anche in questo senso, ad esempio, io che vengo da Vibo, Castrolibero non lo conosco proprio. Ad occhio concordo. Poi però, nei fatti, quando ci vivi, le differenze ci sono».
Promossa a pieni voti, inoltre, l’idea del trasporto pubblico unico: fusione sì, fusione no, fusione forse, immaginare di poter raggiungere il Teatro Rendano senza dover rischiare di «rientrare a piedi a Rende di notte», sembra una visione decisamente gradita ai più.

E quando infine si chiede loro, nel caso di vittoria del sì, qual è il nome che preferirebbero tra “Cosenza”, “Nuova Cosenza” o “Cosenza-Rende-Castrolibero”, se da una parte «Cosenza e basta» sembra troneggiare gloriosa, il giovane Cristian riesce a tirare le somme della disillusione politica giovanile, con un messaggio secco, brillante e ironico che dice niente e, al contempo, potrebbe lasciar capire tutto agli addetti ai lavori: «Cosangeles. Date le idee di grandezza che ci sono dietro, penso proprio che potrebbero finalmente chiamarla Cosangeles».

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