3 minuti per la lettura
COSENZA – Anche gli appalti dell’ospedale di Cosenza e alcuni locali dell’Unical erano “cosa loro”. È la tesi sostenuta dalla Dda nel faldone della maxinchiesta che, alle prime luci del mattino del primo settembre, ha portato all’arresto di 190 persone tra politici e, soprattutto, affiliati alle principali cosche di ‘ndrangheta del Cosentino. Una “confederazione” – la definisce il gip – tra italiani e “zingari”, che aveva allungato i propri tentacoli su ogni affare del territorio: dalle scommesse, alle estorsioni, allo spaccio di droga.
LEGGI ANCHE: ‘Ndrangheta a Cosenza, ecco come è composta la “Confederazione” delle cosche
È il caso, ad esempio, di Agostino Briguori, arrestato a seguito della retata il quale, assieme al sodale Antonio Manzo, si sarebbe adoperato al fine di assicurare un cospicuo pacchetto di voti al sindaco di Rende, Marcello Manna, in cambio dell’interessamento di questi nel mantenimento dell’affidamento di due locali di proprietà dell’Università che l’Unical aveva chiesto indietro a termine contratto, ricevendo l’assicurazione da parte del sindaco, secondo la ricostruzione dell’accusa, che avrebbe fatto da intermediario con l’allora Rettore Crisci. Senza andare troppo lontano dal ponte Bucci, è proprio qui, tra i cubi dell’Unical ma non solo, che il Briguori avrebbe provveduto a intestare, sempre secondo la tesi di accusa, una serie di attività, tra cui una cartoleria, bar, ristoranti, ad altrettante “teste di legno”.
LEGGI ANCHE: Rende, patto col clan: «Io sto portando a Manna e Munno»
Briguori non solo deteneva la completa gestione delle società/ditte, ma utilizzava i prestanome alla stregua di pedine, trasferendo una società da una persona all’altra e mantenendo sempre, di fatto, il controllo nelle sue mani. Un modus operandi che, a parere degli inquirenti, risulta caratterizzato dalla reiterazione di un «collaudato stratagemma per eludere le misure di prevenzione».
LE MIRE DEI CLAN SULL’OSPEDALE DI COSENZA
Le mire dei clan si estendevano anche agli appalti di servizi dell’ospedale di Cosenza. In particolare quelle di Roberto Porcaro che, coadiuvato dal “compare” Francesco Stola, puntava al servizio di noleggio sdraio del nosocomio bruzio ponendo in essere una serie di estorsioni. Come è possibile evincere a seguito dell’intensa attività intercettiva portata avanti dagli inquirenti, la struttura ospedaliera era divisa in zone di competenza tra lo Stola e i fratelli Volpintesta per l’espletamento di tale servizio: in altre parole, la spartizione delle stanze tra i due gruppi era concepita in modo tale da organizzare le rispettive attività in modo armonico.
LEGGI ANCHE: Operazione Sistema a Cosenza, il ruolo di vertice di Patitucci e Porcaro
La condotta estorsiva del gruppo emerge in modo inequivocabile nel corso di una conversazione in cui Davide Volpintesta confidava a Rosina Pulice che in ospedale comanda sul fratello perché “paga ogni anno chi di dovere”. Ma saranno ancora una volta le parole del pentito Adolfo Foggetti a restituire il quadro chiaro della situazione: «Nel corso del 2011 – racconterà alcuni anni dopo -, io e Roberto Porcaro abbiamo chiuso una estorsione in danno di Volpintesta che è titolare di una impresa di onoranze funebri in piazza Zumbini di Cosenza e abbiamo imposto di pagare 3mila euro iniziali e poi 2mila euro tre volte l’anno.
LEGGI ANCHE: Sistema Cosenza, lo spaccio e il “sottobanco”: chi sgarra massacrato di botte
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA