I soccorsi al Raganello
3 minuti per la letturaCASTROVILLARI – Le prime telefonate disperate, l’arrivo a Civita, i segni sulle braccia dopo aver tratto in salvo i (pochi) superstiti. Gli occhi spaventati di un bambino strappato miracolosamente alla furia dell’acqua. Il brigadiere Aldo Martina lo sa bene: l’ondata di piena del torrente Raganello, costata la vita a 10 persone ad agosto di quattro anni fa, ha lasciato una traccia indelebile nella sua storia professionale e umana.
Lei fu tra i primi a prestare soccorso nelle Gole del Raganello. Cosa ricorda di quel giorno?
«Ricordo perfettamente quello che accadde il 20 agosto 2018. Il mio ricordo è stato, oltretutto, ampiamente e dettagliatamente esposto durante l’udienza che si è tenuta presso il Tribunale di Castrovillari il 13 maggio scorso. Ci rendemmo subito conto di trovarci di fronte a una tragedia troppo grande: al nostro arrivo a Civita, coloro che ancora si trovavano in difficoltà ci informarono del fatto che nelle Gole c’erano dei gruppi nutriti di persone che erano partite per fare l’escursione. Quindi immediatamente con tutti i volontari, con tutto il personale del Soccorso Alpino avviammo le ricerche di queste persone. Più passava il tempo e più capivamo che i superstiti sarebbero stati pochi. In effetti, appena il torrente calmò la piena vennero a galla le prime vittime».
In aula ha raccontato di aver salvato anche delle vite.
«Mi fu segnalata la presenza di un bambino sulla sponda opposta alla quale mi trovavo, quindi insieme ad altri colleghi e ad alcuni volontari del posto ci portammo dall’altra parte del fiume per trarli in salvo. Poi c’era un altro ragazzo che era stato già salvato dai Vigili del fuoco ma non era trasportabile perché si trovava proprio sull’argine: lì ricordo di essermi prodigato perché l’elicottero dei Vigili del fuoco aveva serie difficoltà a fare l’intervento di atterraggio però, devo dire, il comandante di quell’equipaggio fu molto bravo a calarsi con la fune, prendere questa persona e portarla in ospedale. Insomma, il ricordo, più che di natura “giudiziaria”, è di un qualcosa che mi ha scosso perché nella mia lunga carriera nell’Arma dei Carabinieri non avevo mai visto 10 cadaveri in fila, posso dire che fanno un effetto bruttissimo, soprattutto in quelle condizioni».
Qual è la scena che le rimarrà per sempre impressa?
«Il riconoscimento dei cadaveri da parte dei familiari. Una cosa bruttissima, una scena che non dimenticherò mai. Non dimenticherò niente, però in particolare questa è stata la cosa più forte. Noi, poi, come Nucleo operativo ci dedicammo anche nei giorni successivi ad effettuare solamente attività di investigazione (sentire persone a verbale, acquisire degli atti, eccetera). Per quanto riguarda le questioni più tecniche, intervennero i colleghi carabinieri forestali con accertamenti di natura diversa da quelli che abbiamo fatto noi. Riguardo al clima, posso dire che quella fu un’estate metereologicamente “anomala”: io ricordo che si andava al mare e si sentiva il maltempo in montagna e viceversa, si ritornava verso la montagna e si sentiva il maltempo al mare».
Ha mai più rivisto le persone a cui ha salvato la vita?
«Il bambino no, devo dire, neanche in occasione del primo anniversario della sciagura. L’altra persona, invece, ricordo che una settimana, dieci giorni dopo, addirittura ci contattò insieme al suo amico e vennero entrambi fino a Castrovillari a trovarci, a ringraziarci e quant’altro».
In ultimo: lei e i suoi colleghi avete mai ricevuto onorificenze per l’attività svolta in quel frangente?
«No, a tutt’oggi non abbiamo ricevuto alcun riconoscimento. Le istituzioni non ci hanno mai rilasciato nulla, a eccezione del Lions club. Ma le assicuro che il riconoscimento più grande ce lo siamo dati da soli: non è un premio che ripaga, ma l’atto stesso del soccorrere e il sapere di aver fatto qualcosa di utile alla gente».
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