Donato Bergamini
3 minuti per la letturaCASTROVILLARI (COSENZA) – La supertestimone del processo Bergamini che non si presenta in aula perché «ha paura» è uno spettro che si aggira in Corte d’assise dallo scorso gennaio, cioè da dal giorno in cui la programmata audizione di Tiziana Rota, moglie dell’ex calciatore Maurizio Lucchetti, salta ufficialmente per motivi di salute della diretta interessata. In quel caso, a paventare il sospetto che le ragioni della sua assenza siano ben altre, è il pm Luca Primicerio, e da allora quel suo pensiero esternato ad alta voce – «Ritengo abbia paura» – ha continuato ad aleggiare in aula, udienza dopo udienza, fino allo scorso 26 maggio, quando la donna ha marcato nuovamente visita; stavolta, però, allegando una documentazione clinica dal contenuto in apparenza inoppugnabile.
La Rota non sta bene per davvero, come certificano diversi medici, dando atto che è sotto osservazione psichiatrica e in condizioni tali da non poter testimoniare, a loro avviso né ora e né mai.
Ma di chi o di cosa ha paura Tiziana Rota? E perché le sue parole sono ritenute così importanti? Lombarda d’origine e coniugata con l’allora compagno di squadra di Denis, nel suo biennio di permanenza in Calabria sostiene di aver stretto un rapporto confidenziale, se non di amicizia, con l’attuale imputata. A novembre del 1989, lei e suo marito si sono già trasferiti a Salerno, ma in occasione di una loro comparsata in città, qualche giorno prima della data fatidica del 18, Tiziana avrebbe incontrato la Internò davanti a una pasticceria di Rende, raccogliendo il suo sfogo sulla fine della relazione con Bergamini. «Se non può essere mio, meglio che muoia», avrebbe vaticinato Isabella e, al sopraggiungere dei due cugini, sempre lei avrebbe aggiunto: «Zitta, che se sanno che mi ha lasciata lo ammazzano per davvero». Addirittura due possibili moventi in un colpo solo, dunque, confidenze che la moglie di “Lucky gol” tiene segrete per circa vent’anni salvo poi affidarle, nel 2010, all’avvocato Eugenio Gallerani, il vecchio legale della famiglia Bergamini allora impegnato a tentare di far riaprire il caso.
Va da sé che l’allora procuratore di Castrovillari Franco Giacomantonio attribuirà un peso molto relativo a tutte le testimonianze fiorite da 2010 in poi, compreso il discorso della pasticceria, e che le stesse, invece, diventeranno oro colato per i suoi successori; differenze di vedute a parte, un approccio problematico alle affermazioni della signora Lucchetti sembrano consigliarlo anche le intercettazioni più recenti. Proprio lei, infatti, a colloquio con Donata Bergamini nel 2017 le dice di aver pensato «già dal giorno successivo» che a uccidere suo fratello fosse stata Isabella, parole che stridono con le scelte operate nell’immediatezza, a gennaio del 1990, quando lei e suo marito decidono di ospitare la Internò nella loro nuova dimora, a Vietri sul Mare, per «farla distrarre un po’». Strano contegno, visto che la consideravano un’assassina.
A ciò si aggiungono altre captazioni dalle quali affiora il dubbio che la sua «paura», quella a cui in seguito farà riferimento Primicerio, sia anche una suggestione determinata da pregiudizi ancestrali. A colloquio con Sergio Galeazzi, un altro ex calciatore, la Rota sbotta: «Non ho detto tutto. E non dico più niente perché ho paura». Ma paura di che? «Delitto d’onore! Lo sappiamo tutti com’è andata», e aggiunge di aver comunque informato Donata Bergamini delle informazioni inedite in suo possesso. Proprio alla sorella di Denis, Tiziana manifesta i suoi timori in un dialogo successivo: «Paura, insomma, la paura, sapete come vanno le cose giù al Sud», concetto ripreso poi a colloquio con un giornalista che la cerca per una comparsata in tv: «Laggiù avevo paura» dice, rievocando il suo biennio cosentino. «Laggiù mi faceva paura la vita, difatti non so voi con che coraggio ci andate».
Dopo aver preso atto della sua impossibilità a essere presente in aula, sia i giudici che la pubblica accusa hanno convenuto sull’opportunità di mettere Tiziana Rota e Maurizio Lucchetti – il suo caregiver – in coda all’elenco dei testimoni (devono esserne sentiti ancora poco meno di duecento) nella speranza che la salute della donna migliori; in caso contrario, si aprirà una disputa sull’acquisizione delle sue dichiarazioni.
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