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Donato Bergamini, morto il 18 novembre 1989 a 27 anni

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I LORO nomi sono rimasti due anni nel registro degli indagati e per un altro triennio nel limbo, fra coloro i quali son sospesi. Ora, però, Luciano Conte e Raffaele Pisano escono dall’inchiesta sulla morte di Donato Bergamini con un provvedimento d’archiviazione che era già nell’aria da tempo, ma per la cui ufficialità entrambi hanno dovuto attendere un bel po’. Ora però c’è anche quella, perché alla richiesta avanzata lo scorso febbraio dal pm Luca Primicerio si è aggiunto il provvedimento del gip Simone Falerno.

Diverso era il grado di coinvolgimento nella vicenda dei due ex indagati per come ipotizzato dagli inquirenti. Conte, poliziotto in quiescienza, è il marito di Isabella Internò, la donna accusata dell’omicidio del calciatore, e a sua volta era sospettato di favoreggiamento. Nel suo caso, gli investigatori erano andati a ripescare un’intercettazione del 2012, risalente ai tempi della precedente inchiesta poi archiviata. Si tratta di un’ambientale fra lui e la consorte, captata nella sua automobile, di poco precedente all’appuntamento che, in quei giorni, Isabella ha con l’allora procuratore Franco Giacomantonio. Non è ancora formalmente indagata per la morte del suo ex fidanzato e sarà sentita in Procura come semplice testimone; in previsione di quell’evento il marito le dà alcuni suggerimenti sul contegno da tenere durante l’interrogatorio. Le consiglia di abbondare con i «non ricordo» nelle sue risposte, considerato che sono passati 23 anni dalla morte di Bergamini e, probabilmente, da poliziotto, teme che dall’altra parte ci siano persone pronte ad appigliarsi a ogni piccolo dettaglio per poterlo poi utilizzare contro di lei.

Non sarà così, tant’è che gli inquirenti dell’epoca non scorgono la presenza di alcun reato in quella conversazione, a differenza dei loro successori che, nel 2018, procederanno per favoreggiamento. Un’ipotesi di reato già prescritta all’epoca, figuriamoci nel 2022,  fatto sta che è proprio all’intervenuta prescrizione che si richiama Primicerio per motivare la richiesta di archiviazione.        

Tutt’altro discorso per Pisano. Il camionista che investì Denis era sotto inchiesta per concorso in omicidio; già giudicato (e assolto) nel 1992 quando l’accusa era di omicidio colposo, non avrebbe potuto comunque essere processato una seconda volta per gli stessi fatti. Non è questo, però, il motivo per cui è uscito di scena. Già la polizia giudiziaria, nel 2019, era stata costretta ad ammettere che il suo coinvolgimento nei fatti di Roseto Capo Spulico del 18 novembre 1989 è puramente incidentale: passava di lì per caso.

Primicerio riprende le conclusioni di quell’informativa e propone una formula dubitativa: «I fatti esposti non consentono di sostenere efficacemente in dibattimento l’ipotesi del suo coinvolgimento nell’omicidio», ma i termini utilizzati dal gip per archiviare la sua posizione suonano in modo più netto: «Non si rileva un suo fattivo coinvolgimento nella verosimile messinscena del suicidio del Bergamini». L’uscita di scena del rosarnese pone ora una serie di dubbi procedurali sulla posizione che lo stesso assumerà nel processo in corso contro la Interò.  Pisano, infatti, è inserito nella lista dei testimoni di accusa e difesa, e il suo status di persona già imputata in un procedimento connesso, suggerisce che debba essere sentito in aula assistito da un avvocato di fiducia. E soprattutto che gli sia concesso di avvalersi anche della facoltà di non rispondere. Una diversa interpretazione del Codice, rimanda a un’altra possibilità. Il suo “ne bis in idem”, il fatto che non possa essere processato due volte per lo stesso reato, esclude anche l’eventualità di una sua possibile e futura incriminazione, in tal caso da testimone (con o senza avvocato) avrebbe l’obbligo di rispondere.

Un dilemma che sarà risolto quando arriverà il suo turno in aula, appuntamento che la Procura evidentemente non ritiene così urgente nonostante l’uomo abbia già compiuto 84 anni e di tutta la vicenda sia un po’ il testimone chiave. Non a caso, sono state celebrate già sedici udienze del processo e di convocazioni, per lui, ancora neanche l’ombra.      

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