Sara Guerriero
2 minuti per la letturaCOSENZA – «Ritorsivo» e «discriminatorio». I giudici della Corte di Appello di Catanzaro non hanno dubbi nel mettere nero su bianco le modalità del licenziamento intimato a Sara Guerriero, 40 anni, cosentina.
Una sorta di “vendetta” – parafrasando la sentenza emessa a fine luglio – pianificata nei dettagli, volta a farle espiare una sola colpa: quella di essere diventata mamma.
È il 2016: il piccolo Matteo ha appena compiuto un anno, Sara è una giovane impiegata part time del colosso societario Farmasuisse srl che ha tra le sue commesse il rinomato Istituto elvetico Sanders.
Svolge la sua attività con amore, al punto da considerare l’ufficio che divide con una collega un po’ come una seconda casa, e la gioia della maternità sembra spalancare le porte a un avvenire felice.
Ma a tre mesi di distanza dal lieto evento ecco la doccia gelata: l’azienda dispone il suo trasferimento dalla sede di Cosenza a quella di Salerno.
Una lettera stringata e formale, motivata (ufficialmente) dalla necessità di razionalizzare i costi a causa della crisi di fatturato. Una crisi che Sara reputa «invisibile», dal momento che è lei a gestire, tra le altre cose, la contabilità della sede bruzia.
Tuttavia non ha alternative: prendere o lasciare, e così, subodorando il ricatto sotteso alla missiva, decide di rivolgersi a un legale e impugnare il trasferimento. È il preludio a una lunga odissea giudiziaria, fatta di cadute e vittorie, di reintegri e nuovi ordini di allontanamento da Cosenza, di articoli di giornale e denunce in tv, ma Sara non si perde d’animo, nemmeno quando le viene ricapitata da Farmasuisse una lettera di licenziamento.
Avanza un ulteriore ricorso, respinto in prima battuta dal Tribunale del Lavoro. Alcuni giorni fa è la Corte d’Appello di Catanzaro a scrivere il “lieto fine”, accogliendo finalmente la sua istanza e disponendo il reintegro nel posto lavoro.
Una sentenza destinata a fare storia: «Una vittoria grandissima – commenta Sara –, oggi posso dire di essere soddisfatta perché il mio obiettivo era riavere il mio posto di lavoro, non un risarcimento. È vero, non è un Paese per mamme e finché la gravidanza sarà vista dai datori di lavoro come un ostacolo non si faranno passi in avanti. Ma io voglio lanciare un messaggio di speranza: voglio dire alle donne che si trovano nella mia stessa condizione, e so che purtroppo ce ne sono tante anche tra le mie colleghe, che lottando possiamo farcela, possiamo cambiare le cose. Io l’ho fatto per dare l’esempio a chi non ha i mezzi e le risorse economiche per opporsi. L’ho fatto soprattutto per loro».
Nel frattempo è arrivata Matilde, che oggi ha 3 anni. La risposta più bella di Sara a chi pensava non potesse farcela.
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