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CATANZARO – Fiumi di droga venivano riversati sulla “piazza” di Catanzaro dal ceppo dei “Pecorari” della famiglia di ‘ndrangheta dei Mannolo di San Leonardo di Cutro, imparentata con il clan rom stanziato nel capoluogo di regione.
La base del narcotraffico era in un negozio di materiale edile a Steccato di Cutro, “Agriverde”, di Dante Mannolo, ma, secondo il gip distrettuale Filippo Aragona, a sua insaputa, perché nei suoi confronti, respingendo le richieste dei pm Antimafia Paolo Sirleo e Debora Rizza che chiedevano l’arresto, ha escluso responsabilità perché lui stesso nelle intercettazioni dice che non sa come si “taglia” la droga e rimproverava i fratelli dediti ai traffici, per i quali sono peraltro finiti in carcere nell’operazione Golgota e sono attualmente detenuti dopo le condanne.
La collaboratrice di giustizia Anna Maria Cerminara, che ha già fatto arrestare l’ex convivente Giovanni Passalacqua e Dante Mannolo per la maxi rapina al caveau di Caraffa, ha raccontato l’abilità del suo compagno, meglio conosciuto come “’u Gigliotti”, nell’ottenere grosse forniture di droga dai Mannolo. Sua figlia aveva sposato Dante Mannolo. Inoltre, il figlio aveva sposato una figlia di Pasquale Mannolo.
Fu lo stesso Passalacqua, del resto a intervenire preso le cosche del Reggino per dirimere una controversia con la ‘ndrangheta di Rosarno perché i Mannolo, che storicamente là si approvvigionano, lamentavano la scarsa qualità della cocaina. In un’altra circostanza, Domenico Passalacqua rivendicherebbe il ruolo leader del padre a colloquio coi suoceri Pasquale Mannolo e Maria Grazia Rodolà, recriminando il fatto che aveva consentito di non far perdere 200mila euro ai sanleonardesi, adoperandosi per una controversia non meglio specificata.
La droga nel quartiere Pistoia di Catanzaro, insomma, la rifornivano i Mannolo che la prendevano a Reggio e Vibo. Dante Mannolo, però, non se ne occupava secondo Cerminara, forse per problemi giudiziari che aveva avuto in passato. E non la sapeva tagliare, secondo il pentito Santo Mirarchi, che ne rideva. «Non la tagliava neanche lui, la moglie, la figlia del Gigliotti… “’a taglia muglierimma, eu un ci capisciu nenti”… la sbriciolava con la precocca che riusciva ad avere tramite un dottore, roba di taglio anestetico che non potesse fare male, un chilo la faceva un chilo e due, un chilo e tre, con tutto che la prendeva buona».
Ma se, secondo il gip, si tratta di «elementi contradditori» circa la posizione di Mannolo, le «principali attività del narcotraffico ruotano attorno al negozio di materiale edile» del sanleonardese, peraltro base logistica anche per la predisposizione di truffe, racconta ancora Cerminara.
Là lavoravano Michele Bruno e Alfonso Lanatà, coinvolti nei traffici secondo l’accusa, e in quel luogo il cognato del titolare, Domenico Passalacqua, avrebbe svolto operazioni di smercio di droga tramite i coindagati Alessandro Catanzariti, Lorenzo Giovanni Floro, Ivan Salvatore Rossello (altri canali di distribuzione sarebbero però i fratelli Abbruzzese e Vincenzo Talarico).
Il negozio era anche il luogo in cui si sarebbero recati i consumatori di stupefacenti dopo aver preso appuntamenti con linguaggio criptico. A quanto pare ad insaputa del proprietario, almeno questo rileva il gip.
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