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POTENZA – C’era un motivo recondito e nobile nella scelta di Roberto Saviano di partecipare ad Amici di Maria De Filippi. Lo ha spiegato lunedì sera, nel ridotto del teatro Stabile di Potenza, il drammaturgo e regista Mario Gelardi, ospite della seconda edizione di Città Accogliente della compagnia Abito in Scena. L’iniziativa prevede un incontro con la cittadinanza, una “residenza artistica” con la compagnia e un laboratorio di scrittura. Ammirevole la caparbietà con cui Abito in Scena continua a operare.


Gelardi, autore noto al pubblico e stimato nell’ambiente, è fra i protagonisti di un esperimento sociale unico nel suo genere: il Nuovo Teatro Sanità. Lo ha raccontato a una platea attentissima, dimostrazione dell’assunto principale della sua drammaturgia: si può prendere la cronaca di tutti i giorni e farne narrazione, cultura, arte, senza perdere in potenza narrativa e funzione creativa.


Introdotto da Monica Palese – metà di Abito in Scena insieme a Leonardo Pietrafesa – Gelardi ha cominciato dall’omicidio di Annalisa Durante, quattordicenne uccisa nel 2004 a Forcella, scudo umano in uno scontro a fuoco di camorra. La reazione della città fu forte. In Gelardi nacque la voglia di scriverne. Contattare Saviano – allora reporter sconosciuto ai più, autore di un articolo «diverso da tutti gli altri, quasi narrativo» – fu automatico.
Poi arriva il successo planetario di Gomorra e il desiderio di farne una riduzione teatrale. Ma l’accoppiata Gelardi-Saviano si scontra con l’ostilità dei teatri di Napoli: come se parlare di camorra volesse dire dare una visione sbagliata della città e non denunciarne il cancro. Poi una sera Saviano inveisce in piazza, presentando il libro, contro i capoclan di Casal di Principe, nel Casertano. «E il giorno dopo lo Stabile di Napoli mi chiama per fare lo spettacolo», ricorda Gelardi. Da allora 400 repliche.


Questa avventura teatrale fa di Gelardi il depositario ideale di una serie di storie di «uccisi per sbaglio» («Espressione detestabile quanto “era nel posto sbagliato al momento sbagliato”») raccontategli dai genitori. Tante, troppe storie che si accumulano nell’imbuto artistico ed esistenziale di Gelardi fino a intasarlo: «A un certo punto, sopraffatto da tanto dolore, ho detto stop. E ho fatto l’editore per cinque anni».
Poi, un giorno, il teatro torna a chiamare. Un gruppo di ragazzi lo porta nel cuore di rione Sanità («Una periferia nel centro storico di Napoli») a scoprire come hanno trasformato un’antica chiesa sconsacrata in un teatro.
Da lì – grazie all’appoggio di padre Antonio Loffredo («Il vero “sindaco di rione Sanità”, artefice della rinascita della zona») – parte un percorso di crescita che ha portato al “miracolo” del Nuovo Teatro Sanità: 4 adulti e un manipolo di ragazzini edificano una drammaturgia satura d’energia (la rabbia sociale della povertà canalizzata dalle assi del palcoscenico) e messinscene che girano Italia ed Europa.


Oggi il bilancio è più che positivo. Ma c’è stata una battuta d’arresto, a nemmeno un anno dagli inizi, che poteva essere definitiva.
«Un giorno arriviamo – narra Gelardi – e troviamo il teatro distrutto. Ma proprio devastato: non c’erano più nemmeno le poltrone, i lampadari, manco gli interruttori della corrente. Il figlio di un boss voleva quel teatro: intendeva farci esibire i neomelodici, era un progetto pensato per dinamiche di potere. Ma il prete dice di no». E allora arriva la ritorsione: devastazione totale.
Ripartire sembrava impossibile, ma i ragazzi ci tengono tantissimo. E allora Gelardi chiama Saviano, che già in passato aveva dato una mano.
«Roberto fa una cosa particolare – ricorda sorridendo l’autore teatrale – Va come ospite da Maria De Filippi. E chiede un compenso alto, un pacco di soldi. Quando lo incassa, lo gira a noi. E’ così che abbiamo potuto ricominciare».


Al teatro sono nati talenti artistici volati via («Siamo come la casa dei genitori: puoi tornarci quando vuoi, ma sai che il tuo posto è altrove»), energie represse sono state trasformate in vitalità artistica. I ragazzi – visti in alcuni video – considerano Nts come «un covo», come «casa mia» o come «una chiesa votata al culto del teatro».
Gelardi – che presta la sua professionalità a Nts per amore («Il ministero ci ha riconosciuto ma il finanziamento, per 25 persone, è di 21.000 euro») – è autore impegnato ma non vuole passare per eroe civile come Saviano: «Non ho la sua forza. Noi del Nuovo Teatro Sanità vogliamo essere ricordati come uomini di teatro. E basta».

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