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Le persone alla manifestazione in ricordo di Elisa, davanti alla chiesa della Trinità

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La dolorosa testimonianza di Dino Quaratino, davanti alla Trinità, che ha raccontato di essere stato abusato in quella chiesa

POTENZA – La commozione, 30 anni dopo, fa capolino in tanti sguardi. La marcia organizzata dall’attore Ulderico Pesce – partita sotto casa di Elisa e conclusasi davanti alla chiesa della Trinità – è stata seguita da diverse centinaia di persone. E, dopo 30 anni, Gildo quasi non riesce a parlare. La commozione è visibile, la gente davanti a lui applaude e, dopo 30 anni, sente che la città è dalla sua parte. Che la battaglia della sua famiglia non è più in solitaria.

«Lo so che questa storia ha diviso la città, lo sento – dice – ma questa è una città che con quanto accaduto non ha mai fatto veramente i conti». Ora, dopo 30 anni, con un corpo ritrovato e un assassino condannato, può però tornare a vivere forte anche il ricordo di Elisa, per quello che era come persona, perché «prima di essere la ragazza scomparsa era una ragazza meravigliosa che, purtroppo, abbiamo potuto conoscere per poco, solo 16 anni».

Restano tutti i silenzi, le verità negate, gli «innocenti depistaggi». E pian piano vengono fuori anche i racconti, dolorosi e inaspettati, di chi quella chiesa ha frequentato.

«Io in quella chiesa – racconta Dino Quaratino, salendo sulle scale della Trinità al fianco di Gildo – sono stato abusato. Per vergogna e pudore, che allora così si faceva, non ho mai detto nulla». E ai giornalisti: «Non dite più che questa è una città omertosa, è una bella città ma che vive di antichi retaggi. Ma ce ne stiamo liberando lentamente». E quando sotto gli urlano di fare i nomi, perché «non è più il momento di proteggerli», Quaratino non fa un nome, ma si dice «indignato da quella targa apposta all’interno, che ricorda don Mimì Sabia e il suo grande impegno a favore degli adolescenti.

«Togliete quella targa», urlano le persone ferme davanti alla chiesa. Un coro che è un atto di accusa contro chi quella istituzione ha diretto per decenni, facendo dei distinguo tra gli adolescenti da accompagnare in un percorso di crescita e gli adolescenti da abbandonare in un sottotetto. «Elisa è entrata da quella porta per andare a pregare – dicono i presenti – e da quella porta doveva uscire. Se è rimasta lì dentro per 17 anni, chi gestiva quella chiesa ha le sue responsabilità».

«La Trinità non è una casa come un’altra» – ribatte un altro presente, che racconta di essersi poco prima imbattuto per caso in un sacerdote che, alla sua affermazione “questa chiesa andava abbattuta”, ha replicato che “se si dovessero abbattere tutte le case in cui succedono cose terribili non ce ne sarebbe più una in piedi”.

«E’ una chiesa questa. Dove ci sono sacerdoti che raccolgono le confessioni: ma come possiamo fidarci di persone che hanno mentito, nascosto, fatto cose così orribili?». Mentre c’è chi parla su quel palco improvvisato che è l’ingresso alla chiesa, c’è chi continua a entrare e uscire. C’è un secondo ingresso da cui potrebbe farlo, ma è come se si volesse far sentire lo sdegno per quella manifestazione contro la riapertura della chiesa. La città continua a essere irrimediabilmente spaccata.

«Rinnovo l’invito a tutta la città – dice Gildo – a non varcare le porte di questa chiesa finché da parte loro non ci sarà un passo avanti, finché non ammetteranno le loro responsabilità, i loro colpevoli silenzi, quello che hanno messo in piedi dall’alba del ritrovamento. Questa chiesa deve restare vuota».

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