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Giuseppe D'Elia

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La corte d’Appello di Salerno ha assolto anche l’ultimo “basilisco”: estesi a D’Elia gli effetti della sentenza che ridimensionava la mafia lucana a mero proposito


POTENZA – L’ex boss di Montescaglioso, Giuseppe D’Elia, non dovrà più scontare 7 anni di reclusione per aver fatto parte del clan “basilischi”. Lo ha deciso la Corte d’appello di Salerno accogliendo il ricorso presentato dall’avvocato di D’Elia, Antonietta Martino.
L’ex boss montese aveva chiesto, in particolare, l’estensione alla sua posizione della sentenza con cui, nel 2018, la stessa Corte salernitana aveva annullato le condanne inflitte, a Potenza, al termine del processo alla “quinta mafia”.

Sei anni prima, infatti, D’Elia era stato l’unico dei presunti esponenti del superclan lucano a rinunciare al ricorso in Cassazione contro la conferma della sentenza di primo grado.
Pertanto, quando i giudici di piazza Cavour hanno “cassato” quelle pronunce liquidando la mafia lucana come un mero proposito di mafia, era rimasto fuori dal processo “bis” instaurato a Salerno. Con una sentenza a 7 anni di reclusione per aver fatto parte di una mafia inesistente, a livello giudiziario.
Il caso di D’Elia, che nel frattempo è diventato un collaboratore di giustizia, è approdato in aula il 13 settembre. La procura generale aveva chiesto il rigetto della richiesta sostenendo che il reato di partecipazione a un’associazione a delinquere «non si presta a far ritenere certamente e fortemente avvinte le posizioni dei coimputati».

ASSOLTO ANCHE L’ULTIMO BASILISCO, LA CORTE ACCOGLIE LA RICHIESTA DI D’ELIA

Di diverso avviso, però, la Corte presieduta da Francesco Siano, che ha evidenziato l’impossibilità di superare le censure alla base dell’assoluzione degli altri presunti esponenti della “famiglia” fondata negli anni ‘90 del secolo scorso dal boss Gino Cosentino. Censure che hanno preso di mira le pronunce dei giudici potentini, “colpevoli” di essersi limitati «ad annotazioni apodittiche, senza curarsi di spiegare da quali elementi emergerebbe la forza intimidatrice del sodalizio e limitandosi ad operare un generico riferimento alla fama criminale dei gruppi da cui provenivano i suoi componenti».

«Ciò che è dimostrato – prosegue la Corte di appello di Salerno – è che il Cosentino avesse promosso un progetto confederativo dei gruppi criminali e che in realtà tale progetto, ideato nell’ambiente carcerario, avesse lo scopo di arginare il potere di altri detenuti di diversa provenienza. Ciò che non è dimostrato è, invece, (…) che la fase progettuale si fosse tradotta nella effettiva costituzione di una organizzazione autonoma da quelle da cui provenivano i presunti affiliati, piuttosto che in un mero patto di alleanza tra clan criminali che conservavano la loro identità, e non ha dimostrato in cosa fosse consistita la concreta operatività del nuovo soggetto criminale».

LA TESI DEI GIUDICI SALERNITANI

«È, pertanto, evidente – concludono i giudici salernitani – che, difettando il gruppo, vengono meno le posizioni dei singoli associati, i quali in nessun modo possono ritenersi parti di un’associazione che non esiste dal punto di vista giuridico. Le argomentazioni articolate dal procuratore generale in udienza non possono, pertanto, essere condivise in considerazione della decisione che è stata emessa sulla base di valutazioni attinenti proprio i caratteri essenziali della fattispecie contestata».
La Corte d’appello ha anche disposto l’immediata liberazione dell’ex basilisco D’Elia. Il 61 montese, però, resterà in carcere lo stesso per l’omicidio del “professore” di Pomarico, Antonio Grieco, avvenuto il 27 maggio del 2019. Pochi mesi dopo la sua liberazione da una precedente detenzione.

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