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La sede del Tar Basilicata a Potenza

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POTENZA – C’è anche il presidente del Tar Basilicata, Giuseppe Caruso, tra i magistrati in contatto con l’imprenditore romano Fabrizio Centofanti, arrestato martedì.

Caruso non risulta indagato, ma il suo nome è finito negli atti dell’inchiesta condotta dai magistrati di Roma e Messina a causa di un’intercettazione captata dalle microspie del Gico della Guardia di Finanza in cui Centofanti dà disposizioni a una sua dipendente «affinché fosse posta a disposizione di Caruso, da identificarsi in Caruso Giuseppe Domenico presidente del Tar Basilicata l’autovettura con autista al fine di facilitarne gli spostamenti».

Gli investigatori citano l’episodio, che risale a novembre del 2016, a riprova del fatto che l’imprenditore fosse il vero «dominus» di una serie di società, con cui avrebbe compiuto diverse frodi fiscali. Ma non spiegano la natura del rapporto tra Centofanti e Caruso, che come presidente del Tar Basilicata ha in mano, tra l’altro, il contenzioso tra Regione ed Eni esploso l’anno scorso, dopo la scoperta dello sversamento di 400 tonnellate di greggio dal Centro olio di Viggiano, e quello sui permessi per nuove esplorazioni richiesti da diverse compagnie petrolifere.

Per il gip che ne ha disposto l’arresto sarebbero stati i «promotori di una associazione a delinquere e responsabili di una pluralità di condotte delittuose tutt’altro che occasionali, poste in essere senza soluzione di continuità per un considerevole intervallo di tempo (almeno dal 2012 e sino ai tempi recenti) ed espressive della tendenza a conseguire in forme illecite ingenti profitti».

Tra queste la corruzione dell’ex presidente del Consiglio di Stato Riccardo Virgilio. Seguendo il denaro delle società legate a Centofanti, infatti, i magistrati hanno scoperto una somma di 751mila euro depositata in Svizzera nel 2016 e riconducibile a Virgilio. Denaro che il magistrato non ha dichiarato al fisco ma non sarebbe frutto di corruzione, che poi però viene spostato su una società maltese legata” ad alcuni degli avvocati indagati nel procedimento “e gestita da una loro “testa di legno”.

In base a quanto ricostruito dagli inquirenti, i due avvocati avevano proposto a Virgilio di investire quel denaro e qualora fosse andata male l’operazione, sarebbe stata compensata da una fidejussione personale dei due verso il giudice. La corruzione quindi, secondo i pm romani, sta nella promessa della garanzia personale fatta dai due avvocati se l’affare fosse andato male in cambio di una serie di sentenze pilotate a favore dei loro clienti.

Centofanti avrebbe anticipato anche i soldi per pagare il soggiorno a Dubai con moglie e figli offerto da uno dei legali coinvolti all’ex pm di Siracusa Giancarlo Longo (già trasferito al Tribunale civile di Napoli, ndr), arrestato con l’accusa «svenduto la funzione giudiziaria» per avvantaggiare l’amico avvocato, con cui avrebbe combuttato per «sviare e introdurre elementi di criticità» nelle inchieste di Milano sull’amministratore delegato di Eni Claudio De Scalzi e il suo predecessore Paolo Scaroni.

Martedì per ordine dei pm meneghini sono stati perquisiti casa e ufficio del manager e ex capo dell’ufficio legale di Eni Massimo Mantovani, sospettato di aver fornito «le indicazioni necessarie» per l’«attività di depistaggio».

Mantovani aveva lasciato nel 2016 l’incarico di capo dell’ufficio legale di Eni, ma avrebbe «continuato a seguire, in forza alla delega ricevuta dall’amministratore, i processi penali instaurati» a Milano.

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