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Ho avuto la fortuna di conoscere Nino Somma tanti anni fa: ben prima che rivestissi incarichi politici ed istituzionali di grande rilievo, che, anzi, a quei tempi neppure ipotizzavo. L’ho conosciuto da amico fraterno dei figli, Francesco, Michele, Ernesto, e sono stato accolto, da Nino e dalla straordinaria – sì, straordinaria: nell’affetto che sa dimostrare, nell’eleganza e nella compostezza con cui ha vissuto sempre, e anche questi giorni drammatici – signora Annamaria con il calore riservato agli amici dei figli: ci si sentiva, e ci si continuerà a sentire, subito di famiglia, a casa Somma. Lo hanno ricordato in tanti in questi giorni, perché é stata certamente una delle cifre costitutive della vita di Nino, e da essa ho voluto partire, per poi soffermarmi sulle altre: bontà, generosità, capacità di relazione con tutti, e a tutti i livelli, e con tutte le generazioni. Sono convinto che, avesse vissuto di più, sarebbe diventato interlocutore anche degli amici dei suoi nipotini! Umanesimo, é stato detto, bene, da Francesco in Chiesa: umanesimo cristiano. Umanità, aggiungo io. Ed é concetto anche più forte. Nei momenti più belli, ed in quelli più brutti della mia vita, una sua telefonata non é mai mancata: telefonate indelebili nella mia mente. Mi commuove pensare che io, che, abituato a farlo in politica e dalla politica, do del tu a tutti, e a tutti chiedo di darmi del tu, ho continuato a chiamarlo sempre Presidente, naturalmente tra le sue proteste e i suoi sfottò. É successo con lui, e con l’altro grande Presidente, lucano, Emilio Colombo. E mi accorgo solo ora che, evidentemente, non si tratta di una casualità. Non avevo incarichi importanti, ma avevo la passionaccia della politica: passionaccia che condivideva! E quindi, sin da ragazzo, e poi quando man mano la politica é diventata via via preminente nella mia vita, in ogni circostanza nella quale ci incontravamo, amavamo parlarne. Dai grandi scenari di politica internazionale e nazionale, alle nostre piccole, e qualche volta grandi, questioni della Basilicata. Ultima telefonata, ai primi di luglio: lo preoccupava, a ragione, il conflitto nel PD, e voleva rassicurazioni da me, che saremmo stati in ogni caso in grado di ricostruire un clima di confronto civile. Qualche volta abbiamo parlato di fede, altra cifra della sua vita: pochi sanno, e Don Vito Telesca ne ha fatto cenno con discrezione, quanto per lui sia stata una dimensione fondamentale, e quanto abbia sentito, tra le sue priorità, quella di essere utile alla Comunità cristiana ed ecclesiastica. Ancor meno persone sanno che lo é stato, e molto, in Basilicata e anche a Roma. Una volta, credo fosse un giorno di estate, venti anni fa, a luglio, mi volle parlare più a lungo, e mi intrattenne su un concetto che mi stupì avesse voluto affrontare: il primato della politica. Forse fu la prima volta che sentii quella espressione, divenuta negli anni successivi molto usata, ma sempre per confutarla. Per le casualità della vita lunedì scorso ho presentato un libro di Luciano Violante, che ha il medesimo titolo: ma che lo scriva un politico, é normale. Mi colpì invece che un imprenditore, anzi l’imprenditore forse più importante della Basilicata, e certamente il più moderno, il più visionario, il più estroso e coraggioso (altre cifre della sua vita) volesse trasmettermi questa idea di gerarchia di valori della nostra società, in un momento nel quale dissacrazione, iconoclastia, qualche volta disprezzo verso i politici erano già in atto, e se ne intuiva la virulenza che avrebbero assunto in seguito. Naturalmente, riconoscere il primato della politica e ricordare il suo legame indissolubile con i protagonisti democristiani di una stagione fertile della nostra regione (Colombo, appunto, Sanza, e poi Boccia, D’Andrea, Lamorte, Molinari: quelli di cui, forse indegnamente per qualità, ma certamente per età, sento di essere l’ultimo anello di una catena che fu fortissima) non gli impediva di essere critico, anche fortemente critico, pur con quell’eleganza (ancora una cifra distintiva della sua esistenza) che gli era propria, su nostri errori, insufficienze, inadeguatezze: si al primato della politica, insomma, ma la politica ne sia degna! Ad esempio, non me lo ha mai detto, ma io sono convinto che la politica fu timida nel difendere il suo sogno, che egli seppe realizzare: una grande banca in una piccola regione del mezzogiorno, un gioiello lucano. L’avessimo fatto meglio, tutti insieme, l’economia della nostra regione oggi sarebbe più avanti. Grande imprenditore: capitano d’industria nella Ferriera, Banchiere, manager, tra i primi in Italia, nell’ICT, con la Basica, e poi nell’energia, stimato da giganti come De Benedetti, oggi con la nuova scommessa di Tecnoparco, altro gioiellino, che la politica dovrebbe aiutare a preservare e ad espandere più di quanto faccia. Avrebbe voluto fare molto di più, con quella voglia di “mangiare il mondo” che si ha a venticinque anni, e che lui ha mantenuto fino ai quasi ottanta: per questo, e non solo per il fisico e la bellezza invidiabili che i figli hanno ereditato, Francesco ha detto in Chiesa che deve confortare noi, che gli vogliamo bene, l’idea che Nino non abbia mai conosciuto la vecchiaia. E vorrei raccontare ancora tanto altro, i giorni di festa, ai matrimoni di Francesco e Michele, i compleanni di figli e nipoti, le prime comunioni, l’ultima, piacevolissima a cui ho partecipato, di Annamaria, Nanni, la figlia di Michele, nella sua amata Riva dei Tessali. Aggiungo solo che questa è la sua cifra che cito per ultima, e non per importanza: l’amore incondizionato per la famiglia, per la moglie, i figli, i nipoti, le nuore, inteso come pilastro, il più importante di tutti, della sua vita terrena. A nessuno, e soprattutto a chi, come me, gli vuole bene, è sfuggita la incrinatura della voce, l’unica, nel bellissimo discorso che Francesco ha tenuto nella cattedrale, quando ha parlato dei nipotini. Francesco, Michele, Ernesto hanno ereditato dal papà doti e valori che continueranno a rendere il Presidente fiero di loro, in ruoli prestigiosi nel privato e nel pubblico, e faranno felici i loro figli. Ed io concludo, perché in realtà c’è ancora un altra cifra, la meno importante, e però tanto significativa quanto lo è, nella vita di ciascuno, ogni passione, anzi, anche questa, passionaccia: condividevamo, io e lui, anche quella per il calcio. Allora, avevo dieci anni, credo, non ero amico dei figli, e non lo conoscevo. Per me, era il Presidente del Potenza calcio, del mitico allenatore De Petrillo, e di quel magnifico numero 11 che si chiamava Nando Scarpa. Mio padre mi portava al Viviani, la domenica, alla partita. Io, innamorato della squadra di cui potrei recitare la formazione a memoria, e di quel Presidente sanguigno, che anziché in Tribuna d’onore ricordo quasi sempre in panchina. Lo spareggio, la Juve Stabia, i tempi supplementari, il goal, la promozione, il tripudio di bandiere rossoblu, una anche sul mio balcone… Ciao Presidente, ciao Nino (ora mi riesce..). Voglio ricordarti anche così!
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