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LAGONEGRO – Il silenzio era assordante ieri mattina nella Chiesa madre durante la messa per i funerali del giovanissimo quindicenne, che nella serata di domenica scorsa si era inspiegabilmente tolto la vita impiccandosi nella cantina di casa. Rotto solo dalle grida strazianti dei suoi cari, disperati e con la madre sorretta a stento, e dai singhiozzi diffusi cui l’eco delle navate restituiva uno stridulo e sincopato risuonare; poi una specie di brusio, un sussurrare di coscienze più che di gole, come se gli animi delle centinaia di persone assiepate tra i banchi stracolmi della cattedrale si ribellassero, in un afflato corale e misericordioso, di fronte ad un gesto che pur nell’umano, assorto rispetto, non può essere accettato dalla ragione. Chi crede in un Dio, a qualsiasi latitudine sia declinato e con qualsivoglia fattezze Egli venga raffigurato, può sperare di consolarsi con la fede e l’attesa della vita eterna; in ogni caso la mancanza dei sorrisi, delle carezze, degli abbracci e di quanto di corporeo possa esprimere una persona ai suoi affetti più intimi, resta tragicamente incolmabile. Il parroco don Mario Tempone, affidandosi alla Provvidenza, ha provato a consolare, a spiegare, a «trovare la luce del Signore in un buio profondo che ci soffoca l’animo, affinché ci ispiri all’amore e alla vita», ma solo il tempo, forse, potrà parzialmente affievolire questo dolore insopportabile ed inaccettabile per la famiglia. Era stato proclamato il lutto cittadino e alla triste liturgia era presente l’intero paese: le autorità civili e religiose, gli insegnanti, i compagni di classe e gli studenti tutte le scuole del comprensorio, così come gli amici del settore giovanile della Rinascita Volley, tutti rigorosamente in divisa a dare un tocco di colore, rosso di vita e bianco di candore, che squarciasse il nero del lutto generalizzato. E naturalmente familiari, parenti, persino la classe della sorellina più piccola che il ragazzo si era premuronsamente preoccupato di accompagnare a letto, prima di mettere fine al suo cammino terreno. Al termine della cerimonia centinaia di palloncini bianchi sono stati liberati in cielo, mentre il feretro veniva accompagnato tristemente verso il cimitero da una processione interminabile, con le campane che risuonavano a lutto, gli anziani che si toglievano il cappello e le donne che si facevano il segno della croce. Sul volto di tutte le persone presenti nella piazza gremita era visibile lo sconcerto, la mancanza di qualsiasi sostantivo utile a lenire la sofferenza e oggettivare lo smarrimento, mentre dagli occhi dei suoi amici più stretti, quelli con i quali passeggiava tutte le sere “’n mieziu ‘u chianu” e che forse custodiscono i suoi segreti più sinceri, spontanei e reconditi di adolescente, traspariva una profonda ed incredula inquietudine mista al pianto. La sua catechista, durante l’omelia ha letto una lettera scritta dai genitori nella quale ha ricordato quanto il giovane fosse allegro, almeno apparentemente, e amasse la vita, sorridere, andare a scuola, giocare a pallavolo, uscire con gli amici; non è riuscita a trovare un perché, commentandola, nessuno ne è stato capace e tutti hanno scosso il capo e avvertito una morsa al cuore quando hanno riecheggiato le scuse e i saluti di mamma e papà, che gli imploravano «perdono se qualche volta, con una frase, un gesto o un comportamento lo avevano reso triste in qualche modo».
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