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CROTONE – Sulle  tracce di «una professionista che opera tra la Calabria e Roma». Una che somiglia come «goccia d’acqua» a Filomena Oliverio. Che, se fossero in vita, sarebbe la sorella minore di due gemelli di Cutro nati vivi nel 1970 ma spariti nel nulla. Il caso di cui il Quotidiano si è occupato un anno fa è approdato ieri ai Fatti vostri, la nota trasmissione Rai condotta da Giancarlo Magalli. Abbiamo interpellato il legale della famiglia Oliverio, l’avvocato Francesco Giorgio Laganà, che ha confermato al Quotidiano gli sviluppi cui è giunta l’agenzia privata Falco investigazioni. Indagini svolte sul caso dei due gemelli che, a distanza di 44 anni, ancora non si sa se siano nati vivi o morti. E che, qualora fossero nati vivi, potrebbero essere stati rapiti o venduti. La vicenda è complessa. I protagonisti sono molti. Proviamo a riepilogare i fatti su cui, cinque anni fa, si sono riaperte le indagini della Procura di Crotone, che erano già state archiviate ma che ora potrebbero ampliarsi alla luce di nuovi elementi. Perché «Filomena Oliverio – dice l’avvocato – è stata anche scambiata per questa professionista tanto le somiglia». 

Tutto inizia nel maggio del 1969, quando la signora Lucia Iefalo Maviglia scopre di essere incinta. Il padre dei concepiti è Giovanni Oliverio. Il 19 gennaio 1970 la signora Iefalo si sente male e si reca presso l’ospedale di Crotone. Il 20 gennaio, alle 00,40, partorisce due gemelli, Mario e Franca, identificati nella cartella clinica con i numeri 48 e 49. Dalla cartella clinica risultano essere nati vivi. Ad assistere al parto c’è la cognata della signora, che vede i bambini vivi, anche se, durante la degenza, la partoriente firma dei fogli dei quali non conosce il contenuto. Dopo il parto, a causa di un’abbondante perdita di sangue, le condizioni di salute della signora si aggravano e viene sottoposta a trasfusione. Dopo qualche giorno, migliorate le condizioni, i sanitari e una suora che presta assistenza ai pazienti le riferiscono che i suoi due figli sono stati trasferiti all’ospedale di Catanzaro perché quello di Crotone è sprovvisto di incubatrice. 
Aggiungono che ai bimbi sono stati dati i nomi di Mario e Franca. Il 27 gennaio la signora viene dimessa e contestualmente le comunicano che i suoi figli sono deceduti. Chiede di vederli ma le dicono che non è possibile. Quando torna a casa, sua cognata è già informata perché il signor Francesco Oliverio, cugino del marito della Iefalo, le ha detto di aver fornito all’ospedale di Crotone una piccola bara e che della sepoltura si è occupato l’ospedale stesso. La signora Iefalo, distrutta dal dolore, ha cinque figli e cerca di non far pesare su di loro la sua sofferenza, fingendo di non pensare alla tragedia che le è capitata, anche se l’amarezza è grande per il fatto che l’ospedale non le ha permesso di vedere i neonati per l’ultima volta, per dar loro il bacio di addio, prima di procedere alle operazioni di sepoltura. 
Dopo qualche tempo, la signora riceve un biglietto di auguri per la nascita dei due gemelli da un certo “onorevole Ernesto Pucci”, persona a lei del tutto sconosciuta. Questo biglietto fa sorgere dei dubbi alla signora: perché gli auguri se i piccoli sono deceduti? La Iefalo parla spesso con i suoi familiari dei suoi sospetti ma nessuno dà peso alla vicenda. Almeno fino agli anni ’94-‘95, quando Franco, figlio dei coniugi Oliverio nato nel ‘75, incuriosito dai fatti raccontati dalla madre, inizia ad indagare. Il giovane va all’ufficio Anagrafe del Comune di Crotone, all’ospedale, al Comune di Cutro. Ma ogni ente interpellato fornisce informazioni discordanti. Il Comune di Crotone custodisce atti di nascita in cui è dichiarato che i bambini sono nati morti. Il Comune di Cutro, nel certificato storico della famiglia Oliverio, non elenca il nome dei due gemelli. In ospedale c’è una cartella clinica che attesta che sono nati vivi. Il giovane informa sua madre che sporge querela. Si aprono le indagini. Intanto, nel ‘96 la signora Iefalo muore e qualche mese dopo ai suoi familiari giunge la comunicazione dell’archiviazione dell’inchiesta. La famiglia Oliverio non si rassegna. Nel 2009 riesce a far riaprire le indagini e conferisce un incarico all’agenzia investigativa. Per l’avvocato Laganà «la conferma ai sospetti potrà venie dall’esame del Dna ma questo è un tipo di accertamenti che l’autorità giudiziaria consente in caso di un’elevata probabilità di identificazione».
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