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POTENZA – Ha fatto perdere le sue tracce ormai da più di un anno Nicola Cassano, il 46enne melfitano evaso dal carcere di Porto Azzurro il 18 marzo dell’anno scorso.
Cassano stava scontando una condanna definitiva per l’omicidio del maresciallo dei carabinieri Marino Di Resta, a Pescara il 19 settembre del 1996, colpevole soltanto di averlo scoperto assieme ai suoi complici subito dopo la rapina a un rappresentante di gioielli. Assieme a Cassano, all’epoca 28enne, della banda facevano parte Carmine Marolda, 35enne venosino considerato il capo, e due 27enni di Cerignola, Antonio Scelsi e Gianfranco Sgramella.
Marolda più di recente è stato indicato come uno dei sicari al soldo del clan Cannitto di Barletta, che si era già macchiato qualche mese prima, il 20 aprile del 1996, dell’omicidio di un “traditore” per questioni legate al traffico di droga. Fatto sta che anche a Pescara sarebbe stato lui a premere il grilletto, vedendo arrivare i militari nella casa in cui si erano rifugiati con la refurtiva, un edificio ancora in costruzione appena acquistato da una famiglia Rom tutt’altro che raccomandabile, tenuta sotto stretta osservazione dagli investigatori.
Per questo il maresciallo Marino Di Resta una volta sentito l’allarme si era diretto subito lì, arrivando mentre stavano ancora scaricando la valigetta sottratta poco prima all’uscita del casello di Francavilla al Mare, bloccando l’auto della vittima con le armi spianate.
A quel punto la reazione dei rapinatori sarebbe stata immediata ed improvvisa, nonostante lì attorno vi fossero dei giovani di ritorno da scuola. Una raffica di proiettili esplosi da un fucile mitragliatore avrebbe preso di sorpresa Di Resta e i due militari che lo accompagnavano e sono rimasti feriti a loro volta. Il maresciallo sarebbe stato raggiunto da otto colpi, alcuni dei quali mentre era già a terra. Poi i colleghi hanno iniziato a rispondere al fuoco, recuperando gran parte del bottino e riuscendo ad acciuffare il “basista” proprietario del rustico mentre i quattro se la davano a gambe.
Per arrestare Marolda, Cassano e gli altri sarebbe occorso meno di un mese, con l’irruzione in un’anonima villetta di Barletta dove si erano nascosti con la moglie e il figlio del capobanda, grazie al sostegno degli “amici” del posto.
E proprio a Barletta il 18 marzo dell’anno scorso la fuga di Cassano era stata “annunciata” da uno dei suoi complici Antonio Scelsi, evaso a sua volta qualche mese prima. che si era fatto strada sparando a un posto di blocco della guardia di finanza una volta riconosciuto. Una coincidenza che fa pensare se soltanto qualche ora più tardi gli agenti della polizia penitenziaria di Porto Azzurro, sull’isola d’Elba, avrebbero registrato il mancato rientro di Cassano da un permesso premio durato abbastanza per permettergli di arrivare in Puglia come nella sua Melfi.
Scelsi è stato riacciuffato un mese dopo grazie a un blitz ad altro tasso d’adrenalina in un appartamento nella periferia di Roma, dov’era in compagnia di un altro ricercato, che era con lui a quel posto di blocco. Con loro avevano due revolver e una mitraglietta Scorpion carichi e pronti all’uso, se soltanto avessero avuto il tempo di impugnarli.
Marino Di Resta era originario di Sessa Aurunca in provincia di Caserta. Quando è morto aveva 34 anni e ha lasciato dietro di sé una moglie, medico di professione, e due figli: un maschio e una femmina di 8 e 2 anni.
Cassano avrebbe dovuto finire di scontare la sua pena nel 2022.
l.amato@luedi.it
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