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È PRASSI nominare una commissione quando non si sa affrontare un problema: l’ennesimo esempio di scuola lo abbiamo avuto con la nomina di una commissione per esaminare la questione dell’utilizzo delle royalties del petrolio, dopo il famigerato emendamento Benedetto (che prevedeva la distribuzione a pioggia delle risorse regionali relative all’attività estrattiva) approvato quasi alla unanimità dalla commissione regionale competente e che una volta approdato in Consiglio ha ricevuto per fortuna una sonora bocciatura, partendo da una chiara e forte posizione del governatore Pittella .
La commissione è un chiaro escamotage per uscire dall’impasse riscontrata in Consiglio regionale, non potrà oggettivamente fare molto non fosse altro perché il quadro istituzionale (Giunta, Consiglio regionale, apparato burocratico, mondo dell’associazionismo) non ha finora manifestato idee innovative in ordine al rapporto tra royalties e sviluppo economico e territoriale regionale.
Fioriscono, di contro, proposte estemporanee (vedi una banca specifica a cui affidare le risorse provenienti dal petrolio) piuttosto che documenti tipo “Strategia di sviluppo regionale connessa al contributo della Regione Basilicata alla bilancia energetica nazionale”, che risale a poco prima della firma del “Memorandum” tra il presidente Vito De Filippo e l’allora sottosegretario allo Sviluppo economico Guido Viceconte e che il governatore Pittella ha rilanciato nelle sue dichiarazioni programmatiche.
Dico proposte estemporanee perché non sottendono un disegno, una strategia, apposite strutture organizzative per implementarne la realizzazione. Siamo in piena astrazione programmatica, avanti a problemi che richiedono da subito soluzioni operative, intorno alla quale aggregare la comunità, restituendole un diverso senso di stare insieme, superando i tanti localismi in cui è frammentata la società regionale.
In questo scenario, il fattore tempo è considerato una variabile indipendente ed in quanto tale non merita approfondimenti.
Per esemplificare, qualcuno ci può dire se, come ed in quanto tempo questo elenco di opere ci farà uscire dalla crisi? Quali interventi hanno priorità e perché? Le singole poste finanziarie come sono state calcolate? Ne sono state esaminate le alternative d’uso? Le proposte hanno alle spalle (vedi la chimica verde) analisi di fattibilità e soggetti già pronti a farsene carico?
Nello specifico della Val d’Agri come si affronta l’equivoco per molti aspetti irrisolto del rapporto tra il Parco nazionale omonimo, le aziende estrattive e la richiesta anche di origine regionale e locale della realizzazione di un distretto energetico vero e proprio? Come conciliarne gli effetti contrastanti?
La trascollinare Murgia-Pollino va ritenuta infrastruttura strategica?
Sono solo alcune delle domande che purtroppo da tempo non hanno risposta, proprio per gravi carenze di programmazione che la regione Basilicata si porta dietro dal 1970, ossia dal momento della sua nascita.
Ciò che ha rilievo oggi è la preoccupante disinvoltura con cui finora sono state impiegate le risorse petrolifere.
Stiamo ai fatti: le multinazionali hanno promesso molto e mantenuto poco, la regione le ha utilizzate per fare molto shopping clientelare a carattere diffusivo nella sanità, nella forestazione, ecc.,il sistema delle autonomie locali, fatta qualche eccezione,non ha certo dato prova (vedi le denunce reiterate della Corte dei Conti) di averle utilizzate per creare sviluppo e nuova occupazione.
Tutti i soggetti interessati si limitano a richiedere più soldi, ma latitano sul fronte delle idee e dei progetti da realizzare, muovendosi in un’ottica sostanzialmente campanilistica.
L’emendamento Benedetto non va sottovalutato, è il sintomo di una cultura regionale che privilegia il contingente, la spesa corrente al posto degli investimenti: è, a ben guardare, in linea ed abbastanza coerente con quanto finora ha fatto in materia l’ente regione.
Può essere visto come la punta dell’iceberg che la politica spinge nel mare aperto dell’economia regionale per ostacolarne consapevolmente od inconsapevolmente la crescita.
Tale approccio politico-culturale costituisce la mala politica, funzionale connessa ad una domanda di cattiva politica che proviene da ampi strati della società civile, dando luogo ad un vero e proprio sistema che finisce col soffocare le molteplici potenzialità di cui pure dispone la regione.
Se non lo si rimuove, parlare di sviluppo diventa semplice e vuoto esercizio retorico. Sul chi e perché non si riesce a farlo il dibattito è aperto ed alimenta invano larga parete della letteratura meridionalistica.
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