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POTENZA – A processo per omicidio se l’erano cavata tutti e tre: Saverio Loconsolo, Massimo Cassotta e Adriano Cacalano. Poi però Cacalano si è pentito e ha accusato Cassotta e Loconsolo tirandosene fuori. Solo che Loconsolo qualche mese più tardi ha ammesso di aver sparato, ma aggiungendo che ad accompagnarlo era stato il suo accusatore. 

Sembra un contrasto difficile da ricucire quello tra le versioni degli ultimi due collaboratori di giustizia del clan Cassotta a proposito dell’omicidio di Giancarlo Tetta, trucidato a Melfi ad aprile del 2008. 

A novembre Loconsolo di fronte agli inquirenti della Direzione distrettuale antimafia ha ritrattato la sua iniziale versione dei fatti confessando di aver sparato. In più ha fatto i nomi di chi ha partecipato all’agguato: il mandante, Massimo Cassotta, chi li ha recuperato quand’era tutto finito, ovvero il figlioccio di Cassotta Giuseppe Caggiano. Cacalano, invece, l’avrebbe accompagnato sul posto, nonostante agli investigatori abbia riferito di sapere poco o nulla dell’omicidio a parte che l’auto utilizzata era stata rubata dagli amici pignolesi del clan guidato da Saverio Riviezzi.

«So molto dell’omicidio di Giancarlo Tetta per averlo commesso io personalmente, su ordine di Massimo Aldo Cassotta». Così il verbale trascritto dagli agenti della sezione anticrimine della mobile di Potenza.

«L’omicidio doveva essere compiuto già prima ma il Tetta si accorse della nostra presenza e allora decidemmo di rimandarlo. La sera dell’omicidio venne Massimo Aldo Cassotta e ci indicò dove era la macchina del Tetta, precisando che l’omicidio si poteva perpetrare. In piazza mi fu proposto di effettuare l’omicidio insieme al Giuseppe Caggiano e io accettai. Passammo dalle nostre abitazioni per poterci cambiare. Presi la pistola da casa di Cassotta, una 7,65 e una 83, se non sbaglio. Sicuramente con la 7,65 io uccisi Tetta».
«Prendemmo la Fiat Croma che era stata data a Pignola dal clan Riviezzi mentre Cacalano ci lasciò nel luogo dell’appuntamento». Prosegue la sintesi delle sue dichiarazioni. «Io mi appostai nelle vicinanze della macchina del Tetta nascondendomi dietro una siepe. Aspettai 20-25 minuti all’interno di un cespuglio ed appena vidi Tetta gli sparai prima un colpo al petto e poi, una volta che lo stesso era a terra, gli scaricai il caricatore in testa. Poi venni prelevato dal Caggiano». 

Loconsolo ha parlato anche degli omicidi di Rocco Delli Gatti, cugino di Giancarlo Tetta, e Domenico Petrilli, nel 2002 e nel 2003, confermando le accuse ai fratelli Dario e Alessandro D’Amato, e a Michele Morelli. 

Quanto invece all’ultimo delitto della faida tra i clan del Vulture ha parlato di un mero «sospetto» nei confronti di Morelli e Donato Prota.
«So che quella sera Alessandro Cassotta si doveva vedere con Michele Morelli, non ricordo se anche con il Prota». Un appuntamento tra i presunti assassini e il figlio della vittima. Ma nulla più.

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