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LAGONEGRO – Alle 16 del pomeriggio di ieri il gip del Tribunale di Lagonegro, Vincenzo del Sorbo, ha convalidato gli arresti per le quattro persone coinvolte nella rissa di mercoledì scorso, che è sfociata in tragedia con la morte di un ragazzo appena diciottenne.
Restano dunque ristretti e a disposizione dell’autorità giudiziaria, Nicola Viceconte, piantonato all’ospedale San Carlo di Potenza, e il figlio Giuseppe, detenuto nel carcere di Melfi, così come Nicolino e Antonio Di Silvio, anch’essi padre e figlio e parenti della giovane vittima, che si trovano nella Casa circondariale di Sala Consilina.
Cambiano sostanzialmente però le posizioni personali dei Di Silvio, ai quali non viene più ascritto il reato di tentato omicidio, dal momento che su questo punto, tutt’altro che marginale, le ricostruzioni dei testimoni interrogati dai carabinieri sono state contrastanti e difformi. L’indicazione fornita al sostituto procuratore Francesco Greco, che sta sostenendo l’accusa, è stata quella di approfondire l’impianto probatorio perché dal quadro indiziario, che pure resta sostanzialmente inalterato, non emergerebbe con chiarezza chi abbia colpito con la mazza ferrata poi sequestrata, Nicola Viceconte.
Si dicono moderatamente soddisfatti in proposito i legali della famiglia Di Silvio, gli avvocati Antonio Boccia e Italo Grasso, che parlano di una «mezza vittoria giuridica» in merito alla cancellazione del capo di imputazione più grave a carico dei loro assistiti, che adesso restano in carcere «soltanto per il punto A dell’ordinanza, vale a dire la rissa aggravata. Bisognerà attendere i risultati dell’esame autoptico, che saranno disponibili tra circa sessanta giorni – continua l’avvocato Boccia – ma al momento noi siamo abbastanza fiduciosi di un ulteriore alleggerimento della posizione dei Di Silvio e sicuramente nei prossimi giorni produrremo delle indagini difensive finalizzate alla loro scarcerazione».
L’avvocato Michele Canonico, nominato immediatamente dai Viceconte quale difensore di fiducia, ha rinunciato al mandato adducendo «ragioni professionali, poiché la famiglia, che in un primo tempo aveva dato mandato anche all’avvocato Aldinio, ha poi preferito rivolgersi a un altro collega forestiero con il quale mi sarebbe stato impossibile collaborare in maniera adeguata, visto che si tratta di un caso così delicato. Resta un po’ di amarezza – questa la sua valutazione personale in merito all’intera vicenda – per l’intempestività con cui sono state avvertite le forze dell’ordine, che non ha permesso di porre fine a una lite di poco conto ed evitare un bruttissimo avvenimento per il nostro paese».
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