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POTENZA – Bisognerà capire se ci sono state complicità, connivenze, abusi. Ma nel frattempo una cosa l’Eni, che è uno Stato nello Stato, dovrà spiegarla ai lucani. Dovrà spiegare di non essere una conceria di Solofra.
Appena ieri, con orgoglio, venivano diffusi i dati sull’occupazione che il circuito del petrolio genera in Basilicata. Con molta convinzione ho sempre sostenuto che il petrolio per i lucani è una ricchezza. Come il suo territorio, però, i suoi fiumi, la sua acqua.
Non è stata una bella giornata ieri. Onore ai carabinieri del Noe, onore al procuratore Triassi per la difficilissima indagine. Qui non ci si può dividere, però. troppo alta è la posta in gioco. Non possono esserci esimenti o scusanti come quella che, profeticamente, proprio nel giorno del blitz, l’Eni pubblica sul Sole 24 ore in un pezzo della collega Luigia Ierace.
C’è poco da girarci attorno. Dal capo di imputazione una sola parola sintetizza tutto: ecomafia.
Credo che sia interesse di tutti i lucani che gli accertamenti in corso siano rapidi e chiarificatori. Ma una cosa l’inchiesta sul traffico di rifiuti che coinvolge l’Eni la dice subito: il problema della Basilicata non è moratoria sì, moratoria no. E neppure titolo V non titolo V. I contenuti del Memorandum da rivedere, certo, sono la richiesta minima che possa venire da questa terra. Ma la vera pretesa della Basilicata, di tutti i sindaci che vanno a fare trattative private con le compagnie petrolifere, è la tutela dei nostri beni comuni.
Le cronache del Quotidiano degli ultimi mesi non sono uno spaccato rassicurante. Dalla storia dei Robortellas, a quella dell’ingegnere Mazziotta, troppi dubbi senza risposta. Ma questo è solo il reticolo della base.
Quest’inchiesta dice che a monte, il colosso, non si è fatto scrupolo di risolvere alla meno peggio i bisogni delle sue necessità produttive. Scorre veleno nel nostro Basento, e chissenefrega.
l.serino@luedi.it
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