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POTENZA – Si è presentato come un padre di famiglia in difficoltà, chiedendo un prestito per rimettersi in piedi. E tanto ha fatto che per aiutarlo il suo vescovo ha deciso di mettere mano al “fondo caritatevole” della diocesi prelevando 50mila euro. Ma al momento di restituirli i telefoni hanno iniziato a squillare a vuoto.

E’ stato sentito dagli inquirenti come parte offesa il vescovo di Potenza Agostino Superbo.

Ieri mattina il capo della diocesi del capoluogo si è presentato in Procura assieme al diacono della cattedrale.

Ad attenderlo c’erano il procuratore reggente Laura Triassi e Francesco Basentini, il pm titolare dell’inchiesta da cui è emerso il nome del prelato, che ha ospitato tutti nella sua stanza al quarto piano del Palazzo di giustizia.

Superbo, che nei giorni scorsi aveva ricevuto un formale avviso a comparire come persone informata sui fatti, ha parlato per circa un’ora.

Stando a quanto il Quotidiano è in grado di riferire da fonti di prima mano, il sacerdote avrebbe raccontato a magistrati e investigatori la sua recente disavventura.

Un caso tutt’altro che isolato, a ben vedere.

E’ da tempo, infatti, che gli inquirenti avrebbero messo a fuoco una serie di episodi simili concatenati. Ed è proprio seguendo la “scia” dei colpi messi a segno dal soggetto preso di mira che sarebbero arrivati all’ammanco nelle casse del “fondo caritatevole”.

Ma di che si tratta?

 All’inizio erano solo 150 milioni delle vecchie lire, lasciati in eredità da monsignor Francesco Vairo, vescovo di Potenza dal 1977 al 1993. In sostanza tutti i suoi beni. Destinati al sostegno delle persone in difficoltà, ma a patto della loro restituzione. In modo che anche altri potessero fruirne. Prestiti infruttuosi da un punto di vista economico, ma essenziali da un punto di vista sociale per aiutare i più sfortunati a rialzarsi, dopo una caduta come nella vita possono capitarne tante.

Di recente il fondo caritatevole della diocesi di Potenza, che va distinto da quello dell’8 per mille (per cui la curia è obbligata a tenere una rendicontazione puntuale adottando criteri di gestione molto più stringenti), si sarebbe arricchito dei lasciti di altre persone.

Ad ogni modo, sul suo preciso ammontare, vige un certo riserbo, proprio per evitare il ripetersi di episodi come quello appena venuto a galla.

Di fronte al fatto compiuto, nessuno tra i pochissimi informati della situazione all’interno della diocesi aveva pensato di avanzare una denuncia in Procura.

L’intenzione sarebbe stata di provare a recuperare il denaro in un altro modo. Anche a forza di carte bollate, ma soltanto per portare il caso davanti a un giudice – civile – a cui chiedere di intimare il risarcimento delle somme dovute, pena il pignoramento dei beni di chi se n’è impossessato.   

Invece hanno fatto prima gli inquirenti. E di questo passo è chiaro che la diocesi, nella persona del vescovo, potrebbe provare a costituirsi parte civile nel processo che dovesse instaurarsi contro chi ha abusato della sua fiducia. 

S’intende con le altre vittime del personaggio al centro dell’inchiesta dei Pm. Potentini come lui. E a quanto pare non solo.

l.amato@luedi.it

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