TRICARICO – «E’ l’amore alla base di tutto. L’amore per la vita è quello che ti fa andare avanti. E’ l’amore quello per cui a un certo punto il vivere stesso diventa un dovere». Parola di fresco centenario.
Ha festeggiato il “suo” secolo ieri mattina a Tricarico il professore Giuseppe Infantino. “Monsieur Infantinò” come ancora lo chiamano i suoi ex allievi. Capitano pluridecorato Giuseppe Infantino per le autorità civili e militari presenti, assieme ad amici, parenti, studenti (di oggi e di ieri) e concittadini di Tricarico nell’aula consiliare del Municipio.
A fare gli onori di casa è stato il sindaco Lina Marchisella con la giunta comunale al completo, grazie anche al sostegno organizzativo del comandante della Compagnia carabinieri Maurizio Laurito e del Comandante della stazione cittadina Domenico Paone.
A portare gli auguri al professore c’erano anche il viceministro dell’Interno Filippo Bubbico, il vescovo di Tricarico Vincenzo Orofino, il prefetto di Matera Luigi Pizzi, il generale Giulio Barba del comando provinciale Esercito “Basilicata” e il comandante provinciale dell’Arma Antonio Russo. Quindi una folta delegazione dell’Associazione carabinieri Basilicata con la bandiera, e rappresentanti dell’Associazione combattenti e reduci, dell’Unione nazionale ufficiali in congedo e dell’associazione “Nastro azzurro” che riunisce i decorati al valore militare.
Presente anche l’Alliance Francaise Basilicata fondata alla fine degli anni ’40 a Potenza proprio da “monsieur Infantinò” (insignito della Palma accademica dal Governo transalpino nel 1962), che ha ricevuto una lettera di auguri del console francese a Napoli. Infine la Confederazione italiana agricoltori a cui il festeggiato si è iscritto prima ancora di andare in pensione, legato com’è sempre stato alla terra ereditata dal padre, una passione tramandata anche i suoi familiari.
«Una figura che 80 anni fa ha saputo guardare lontano dalle beghe di provincia – per Filippo Bubbico – diventando cittadino del mondo e confrontandosi con esso, come ancora oggi si fatica fare nonostante le maggiori possibilità».
«Abbiamo voluto festeggiare un uomo e offrire un esempio ai tanti giovani che faticano a trovare punti di riferimento in tempi come questo – ha spiegato il sindaco Marchisella – A Tricarico soprattutto nei quartieri popolari il professore è stato per anni il modello di un riscatto possibile, e di durezza contro i soprusi dei potenti».
Leo Amato
l.amato@luedi.it
TRICARICO – «E’ l’amore alla base di tutto. L’amore per la vita è quello che ti fa andare avanti. E’ l’amore quello per cui a un certo punto il vivere stesso diventa un dovere». Parola di fresco centenario. Ha festeggiato il “suo” secolo ieri mattina a Tricarico il professore Giuseppe Infantino. “Monsieur Infantinò” come ancora lo chiamano i suoi ex allievi. Capitano pluridecorato Giuseppe Infantino per le autorità civili e militari presenti, assieme ad amici, parenti, studenti (di oggi e di ieri) e concittadini di Tricarico nell’aula consiliare del Municipio. A fare gli onori di casa è stato il sindaco Lina Marchisella con la giunta comunale al completo, grazie anche al sostegno organizzativo del comandante della Compagnia carabinieri Maurizio Laurito e del Comandante della stazione cittadina Domenico Paone.
A portare gli auguri al professore c’erano anche il viceministro dell’Interno Filippo Bubbico, il vescovo di Tricarico Vincenzo Orofino, il prefetto di Matera Luigi Pizzi, il generale Giulio Barba del comando provinciale Esercito “Basilicata” e il comandante provinciale dell’Arma Antonio Russo. Quindi una folta delegazione dell’Associazione carabinieri Basilicata con la bandiera, e rappresentanti dell’Associazione combattenti e reduci, dell’Unione nazionale ufficiali in congedo e dell’associazione “Nastro azzurro” che riunisce i decorati al valore militare. Presente anche l’Alliance Francaise Basilicata fondata alla fine degli anni ’40 a Potenza proprio da “monsieur Infantinò” (insignito della Palma accademica dal Governo transalpino nel 1962), che ha ricevuto una lettera di auguri del console francese a Napoli.
Infine la Confederazione italiana agricoltori a cui il festeggiato si è iscritto prima ancora di andare in pensione, legato com’è sempre stato alla terra ereditata dal padre, una passione tramandata anche i suoi familiari. «Una figura che 80 anni fa ha saputo guardare lontano dalle beghe di provincia – per Filippo Bubbico – diventando cittadino del mondo e confrontandosi con esso, come ancora oggi si fatica fare nonostante le maggiori possibilità».«Abbiamo voluto festeggiare un uomo e offrire un esempio ai tanti giovani che faticano a trovare punti di riferimento in tempi come questo – ha spiegato il sindaco Marchisella – A Tricarico soprattutto nei quartieri popolari il professore è stato per anni il modello di un riscatto possibile, e di durezza contro i soprusi dei potenti».
LA VITA – Giuseppe Infantino nasce a Tricarico, in casa come si usava una volta, il 7 novembre del 1913, primo di otto figli nati da Antonio Infantino, minatore e figlio di minatore emigrato negli Stati Uniti proprio come suo padre, e Annunziata Pica che di mestiere faceva la sartina: una coppia di novelli sposini.
Antonio era tornato mesi prima da oltreoceano con 6.000 lire in tasca per metter su famiglia e comprare un piccolo appezzamento di terra in contrada Serra delle vigne. Ma poco dopo sarebbe ripartito e Giuseppe l’avrebbe rivisto soltanto sei anni dopo, nel 1919, quando è potuto rientrare in Italia dopo la fine della Prima guerra mondiale.
Da allora fino all’età di 20 anni Giuseppe, finite le scuole dell’obbligo, avrebbe aiutato il padre nelle sue attività: una piccola fornace per la produzione di calce e l’approvvigionamento di legna per alimentarla e per fare qualche soldo vendendola direttamente in paese.
Poi anche per lui è arrivato il tempo della partenza, nel 1934, dopo aver fatto domanda per l’anticipo della leva militare con la Banda presidiaria dell’esercito, e l’arruolamento a Firenze con la consegna di una tromba, che gli avrebbe fatto compagnia soltanto per qualche mese.
Da Firenze Giuseppe avrebbe iniziato una lunga serie di viaggi in lungo e in largo la penisola. A Casagiove per la scuola sottufficiali dell’Esercito. Poi a Bergamo dov’era di stanza il suo nuovo reparto: il settantottesimo reggimento fanteria lupi di Toscana, che all’ingresso della caserma come mascotte aveva un lupo in carne ed ossa. Nel 1936 aveva appena risposto alla richiesta di volontari per l’Abissinia. Si trattava di costituire due infermerie quadrupedi a supporto della cavalleria: una in Eritrea e una a Mogadisco. Trasferito a Milano nella storica caserma Santa Barbara aspettava solo di partire tant’è che gli erano già stati assegnati anche gli stivali con gli speroni e la divisa cachi. Ma alla fine non se ne fece nulla. Le due infermerie non partirono e Giuseppe – togli gli speroni – venne spedito a Cortona, in Abruzzo, per entrare a far parte di una nuova divisione di fanteria, la Gavinana, da cui alla bisogna venivano prese truppe di complemento per il prosieguo delle guerre d’Africa.
Insieme ad altri commilitoni Giuseppe, che nel frattempo era diventato sergente, venne mandato a Sabaudia dove c’era un raggruppamento di forze pronte alla partenza. Ed è stato lì che ha sentito parlare della Spagna. La decisione di offrirsi come volontario non è arrivata subito. Lo convinse il suo capitano e nell’arco di qualche giorno era al fronte, per la prima volta, battaglione di complemento della brigata “frecce azzurre”, subito trasformato in battaglione d’assalto. La metà restò sul campo a Saragozza il 24 settembre 1937. A Giuseppe Infantino il valore mostrato in battaglia è valso il riconoscimento della “cruz roya”, la croce al merito militare di guerra del regno di Spagna.
Tornato in Italia a ottobre del 1938 la nuova destinazione del sergente Infantino è stato a Piacenza dove ha preso servizio nel sessantacinquesimo reggimento di fanteria motorizzata dell’Armata del Po. Fidanzato con Angela Scarano, un’insegnante di scuola elementare di Tricarico, sarebbe convolato a nozze con lei, nel 1941, quand’era già mobilitato per la guerra nel Nordafrica, da cui sarebbe tornato l’anno dopo scampando anche alla sanguinosa sconfitta delle truppe dell’Asse ad El Alamein.
Finita la Seconda guerra mondiale l’eroismo mostrato in azione tra le dune del deserto del Maghreb è stato riconosciuto con il conferimento al tenente Giuseppe Infantino, poi promosso capitano in congedo, della medaglia di bronzo al valore militare.
Con lo sfondamento del fronte di Montecassino e la liberazione di Roma da parte degli Alleati comincia la seconda parte della vita di Giuseppe Infantino.
Da Sabaudia nell’estate del 1944, dove era rimasto al comando di una compagnia di contraerea fino alla dissoluzione dell’esercito italiano l’8 settembre del 1943, e in seguito ospite di una generosa famiglia del posto, ha inforcato una bicicletta assieme ad Angela, sua moglie, col piccolo Antonio (nato qualche mese prima) nel cestello davanti al manubrio. Lo stesso Antonio Infantino che ormai da quarant’anni è tra i più noti musicisti, poeti e artisti presenti sulla scena italiana.
Così col necessario per il viaggio e poco altro hanno ripercorso l’antica via Appia fino a Tricarico – dove c’era persino chi li credeva morti – dormendo all’addiaccio e mangiando la cioccolata lanciata dagli autisti dei camion militari a stelle e strisce in risalita lungo lo stivale coi loro faccioni scuri, commossi alla vista di quel bimbo in fasce.
Col diploma di scuola magistrale in tasca, preso a Bobbio quand’era ancora di stanza a Piacenza, Giuseppe Infantino si era già iscritto alla facoltà di scienze coloniali dell’Università orientale di Napoli. Visto l’epilogo del conflitto il corso non c’è da stupirsi che il corso fosse stato soppresso, per questo avrebbe optato per il passaggio a lingue e letteratura straniera.
Familiare con lo spagnolo e il tedesco, dopo anni di guerra fianco a fianco con soldati madrelingua, la scelta del francese come insegnamento prevalente è arrivata con la constatazione che ormai la storia volgeva in un’altra direzione.
Per lo studente Giuseppe Infantino l’iscrizione all’Istituto francese di Napoli Le Grenoble, che organizza ancora oggi corsi molti qualificati, doveva servire a raggiungere la migliore conoscenza possibile della lingua. Poi ci sono stati i viaggi in Francia – a partire dal 1947 – grazie alle borse di studio conquistate per il profitto accademico. Quindi la laurea nel 1949 e il diploma superiore di dell’Istituto Grenoble l’anno dopo.
Il professor Infantino, ha iniziato la carriera di docente subito, a Tricarico, nell’istituto magistrale Gesù eucaristico. Poi sono arrivati gli incarichi a Potenza alla scuola media Torraca, all’istituto magistrale Gianturco, e a quello che all’epoca era ancora soltanto il liceo scientifico parificato Galileo Galilei. Da qui il trasferimento nel capoluogo con tutta la famiglia.
Anche l’idea di fondare in Basilicata una sezione dell’Alliance Francaise, l’associazione parigina che promuove la lingua francese e le culture francofone all’estero, non è rimasta a lungo lettera morta.
Grazie ai buoni uffici di “monsieur Infantinò”, come ancora oggi lo chiamano i suoi ex allievi, e al rapporto duraturo con i vertici dell’Istituto Grenoble di Napoli, a Potenza nel tempo sono arrivati scrittori a tenere conferenze, si sono viste esposizioni di libri e persino serate danzanti a tema, che hanno animato non poco la scena culturale della città.
Nel 1961 da insegnante a tempo pieno e dirigente facente funzioni del Galilei, che all’epoca era ospitato nei locali dell’Istituto Principe di Piemonte di Potenza, Infantino ha curato di persona il passaggio del nuovo liceo alla Provincia, dopo un breve periodo di coabitazione con il Classico statale Quinto Orazio Flacco.
L’anno dopo è arrivata la vittoria al concorso per una cattedra di lingua straniera, uno dei primi banditi dal blocco anteguerra. Quindi il riconoscimento della Palma Accademica del Governo di Francia da parte dell’allora ministro dell’istruzione Pierre Sudreau, noto anche perché da giovane era stato d’ispirazione al personaggio del Piccolo principe nell’omonimo libro.
Il “professore” è rimasto a insegnare al Galilei fino al 1967, quando ha deciso di trasferirsi a Portici coi figli che intanto avevano avviato gli studi universitari, per poi tornare di nuovo a Potenza – sempre al Galilei – nel 1975.
La pensione è arrivata nel 1979, ma la prospettiva di restare con le mani in mano non lo allettava per nulla. Così il “professore” Infantino è diventato il preside Infantino e grazie alla collaborazione con la signora Carmela Bavusi nel 1981 è nato il liceo linguistico parificato Danzi di Potenza. Una classe e sette alunni in totale, per cominciare, che nel giro di pochissimo sarebbero diventati 150 con la creazione di una seconda classe. Un’esperienza conclusa dieci anni più tardi quando anche l’Istituto tecnico statale Da Vinci ha aperto un corso dello stesso tipo.
Da allora il “professore” è tornato a Tricarico dove continua a dedicarsi alle migliori letture in lingua originale (in particolare di scrittori del novecento), e per quanto gli è possibile alla coltivazione delle sue terre, una passione tramandata ai suoi familiari. C’è l’appezzamento su cui sorge la sua casa, proprio sopra la chiesa di San Rocco, da cui si domina l’intero paese. E c’è ancora quello acquistato da suo padre in contrada Serra della Vigne, puntellato di viti che da un paio d’anni alimentano una piccola produzione di malvasia riconosciuta a “indicazione geografica protetta” e sempre più apprezzata anche sul mercato.