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POTENZA – Sarà in aula questa mattina Pasquale Marino, e a quanto annuncia il suo legale Rosanna Agatiello ha tutta l’intenzione di spiegare le ragioni del suo gesto su cui comunque proseguono le indagini dei carabinieri.

Si saprà oggi stesso se resterà in carcere o sarà rimesso in libertà il 40enne di Pignola considerato un esponente del clan Riviezzi, fermato nelle prime ore di lunedì con l’accusa di tentato omicidio. A mezzogiorno, nel Palazzo di giustizia di Potenza, è infatti prevista l’udienza sulla richiesta di convalida del fermo effettuato dai militari dell’Arma che l’hanno braccato e scovato nei boschi vicino al suo paese dove si era rifugiato dopo la lite esplosa qualche ora prima davatia al Bar Roxi nella centralissima via Marconi.

A testimoniare l’accaduto sarebbero stati diversi avventori del locale presenti mentre Marino ha iniziato a discutere con la vittima, Angelo Luongo, anche lui 40enne e di Pignola, con precedenti penali di poco conto. Poi Marino avrebbe estratto dalla tasca un coltello a serramanico di 12 centimetri di lunghezza colpendo Luongo all’addome per fortuna senza toccare alcun organo vitale. Una casualità, secondo gli investigatori, convinti che una lama del genere, avrebbe potuto fare danni ben peggiori se fosse andata a segno soltanto a qualche centimetro di distanza.

Resta quindi il mistero sul movente di un gesto simile: una reazione d’impeto a uno “sgarro” subito; oppure un regolamento di conti tra persone legate da interessi ancora da chiarire? Gli investigatori dell’Arma sembrano propendere per la seconda, in particolare per la “caratura” criminale riconosciuta a Marino, condannato a 9 anni di reclusione a luglio dell’anno scorso per associazione mafiosa.

Di professione boscaiolo, Marino avrebbe fatto parte del clan  di Saverio Riviezzi, ex pugile e boscaiolo a sua volta, considerato l’ultimo boss potentino dei vecchi basilischi, assieme al fratello di Riviezzi e altre due persone. Stando alle dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia in passato avrebbe trafficato droga e armi per conto della “famiglia”, e all’occasione si sarebbe messo a disposizione anche per portare soldi al boss detenuto. Inoltre avrebbe condiviso sempre con Riviezzi anche un periodo di latitanza all’epoca del blitz della prima inchiesta contro la “quinta mafia”. Insomma un uomo di fiducia del boss, forse l’ultimo rimasto in libertà dopo gli arresti dell’operazione double face, a febbraio del 2010, poi confermati dal Riesame e dalla sentenza di primo grado di luglio del 2012. Qui però cominciano i dubbi degli investigatori.

Se le cose stanno davvero così com’è possibile che Marino si sia fatto trascinare in una discussione al punto da impugnare un coltello e colpire davanti a tanti testimoni un personaggio semi-sconosciuto agli investigatori, senza fissa occupazione e problemucci con la giustizia solo per questioni private.

In ospedale la prognosi per Luongo è stata soltanto di 20 giorni ed è da vedere se l’accusa di tentato omicidio reggerà anche davanti al Tribunale. Ma in caso positivo rischia una condanna molto pesante, e il precedente per l’agguato a un buttafuori della discoteca potentina Gogo di tre anni fa ne è la dimostrazione. All’epoca a impugnare una lama nel buio sarebbe stato un altro personaggio considerato vicino al clan di Saverio Riviezzi, il 34enne Maurizio Pesce, e anche se i giudici non hanno riconosciuto l’aggravante del metodo mafioso in appello 7 anni e sei mesi. 

l.amato@luedi.it

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