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POTENZA – Una motivazione «oltremodo pretestuosa e strumentale all’ammissione al programma di protezione».
E’ così che i militari del Reparto operativo dei carabinieri liquidavano nel 2009 le ragioni della scelta di collaborare con la giustizia dichiarate da Gino Cosentino, più noto come il fondatore della “quinta mafia”. Ma sono occorsi quasi 4 anni perché il programma di protezione gli fosse revocato e il Tribunale acquisisse la nota in cui gli investigatori hanno smascherato tutte le sue bugie e le sue contraddizioni nel processo d’appello sulla “guerra fredda” tra i reduci della vecchia “famiglia basilisca”.
Quanto ai timori per la sua incolumità i militari denunciano l’«inverosimiglianza» del racconto dell’attentato subito. «Ci si chiede – scrivono – perché Cosentino e Rosa (la compagna, ndr) nell’immediatezza decisero di sporgere una denuncia a carico di ignoti, distorcendo totalmente – persino nei futili dettagli- i fatti occorsi?»
Impossibile poi non cogliere l’ironia quanto invece alla seconda ragione della scelta di collaborare con la giustizia manifestata agli inquirenti «e cioè alla metamorfosi etica asseritamente sopravvenuta (…) dal momento in cui aveva “cominciato ad amare i gatti”», cosa che lo avrebbe spinto a ripensare anche ai «ragazzi che lo vedevano come un mito». Una motivazione «che puta caso sorge nel collaboratore dopo essere stato estromesso da tutti i maggiorenti delle organizzazioni criminali potentine alle porte della sentenza basilischi», dunque stumentale e pretestuosa. Con buona pace dei gatti e dei ragazzi, in realtà «solo pochi sprovveduti», capaci di estorcere soldi ai genitori e nulla più.
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