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POTENZA – Sono accusati di abuso d’ufficio per aver agevolato, tra il 2008 e il 2011, alcuni contratti di lavoro “a chiamata diretta” il direttore generale e il direttore del personale di Acquedotto lucano. Ma sotto esame è già finito l’intero l’organigramma della spa al 100% di Regione e comuni della Basilicata. Dove nipoti, amici e clienti del potere tra l’Ofanto e il Pollino si farebbe persino fatica a contarli.
Sono attesi in Questura lunedì prossimo Gerardo Marotta e Pasquale Ronga. La loro convocazione è stata disposta dai pm Francesco Basentini e Sergio Marotta titolari di un corposo fascicolo datato 2011 su cui gli inquirenti sembrano intenzionati a tirare le somme in tempi brevi.
Al centro dell’inchiesta condotta dagli agenti della sezione pubblica amministrazione della Squadra mobile di Potenza ci sono 11 nominativi per altrettanti contratti di lavoro a tempo determinato con la multiutility dell’acqua lucana. E tra questi gli investigatori avrebbero scoperto la nipote del consigliere regionale Pd Erminio Restaino, quella dell’ex consigliere dei Popolari Uniti Gaetano Fierro, un parente del consigliere comunale Pdl Antonio Imbesi più il coniuge di un dirigente della stessa società.
Secondo l’accusa si tratta di atti contrari alle procedure stabilite dalla legge 133 del 2008, più nota come decreto “semplificazioni”, che ha provato a interrompere un malcostume molto italiano nato con la spinta di derivazione comunitaria alla privatizzazione di attività un tempo gestite dallo Stato. Infatti in tante enclavi della penisola la costituzione di società di diritto privato per la gestione di servizi pubblici, con un capitale sociale proprio e organi all’apparenza autonomi, si sarebbe rivelata nient’altro che un escamotage per aggirare le regole più di prima e meglio di prima. In pratica da un lato veniva liberalizzato in toto il regime di assunzioni e commesse varie, ma dall’altro la proprietà rimaneva saldamente in mano pubblica quindi il controllo e in ultima istanza l’indirizzo di tutto ciò che un tempo richiedeva l’indizione di appalti e concorsi.
Risultato? Il dilagare un po’ ovunque di casi di nepotismo, clientele e quanto di peggio può produrre la pubblica ammistrazione. Ecco perché il legislatore è intervenuto cinque anni orsono imponendo alle «società che gestiscono servizi pubblici locali a totale partecipazione pubblica» di adottare «con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi» rispettosi dei principi delle norme per le pubbliche amministrazioni. In particolare quelle che prevedono: «adeguata pubblicità della selezione e modalità di svolgimento che garantiscano l’imparzialità e assicurino economicità e celerità»; «meccanismi oggettivi e trasparenti, idonei a verificare il possesso dei requisiti attitudinali e professionali richiesti in relazione alla posizione da ricoprire»; e il «rispetto delle pari opportunità tra lavoratrici e lavoratori».
E ad Acquedotto lucano? Gli inquirenti sembrano convinti che le cose siano andate in tutt’altro modo prima – e fin qui nulla di rilevante dal punto di vista penale – ma soprattutto dopo l’approvazione della legge in questione. Almeno per quanto riguarda il personale. Da qui l’ipotesi di abuso d’ufficio, che punisce «il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio» che violando una legge o un regolamento procura «intenzionalmente» a sé o ad altri «un ingiusto vantaggio patrimoniale». Mentre lascia impuniti i terzi beneficiari dell’eventuale abuso, che ad ogni buon conto potrebbero anche essere all’oscuro di quanto commesso per favorirli. Di fatto a Potenza sul registro degli indagati i nomi dei 11 lavoratori non compaiono.
Nel capo d’imputazione notificato a Marotta e Ronga non si parla di commesse, clienti e fornitori, di quella che è tutt’ora considerata la maggiore stazione appaltante della Regione, questioni rimaste fuori dall’inchiesta dei pm della Procura del capoluogo. Al direttore generale e al direttore del personale della società, che proprio quest’anno ha compiuto 10 anni, viene invece contestato di aver continuato a selezionare personale per progetti a tempo determinato più o meno qualificato secondo le esigenze specifiche. Mentre si sarebbero dovuti portare a termine concorsi con tutti i crismi per coprire eventuali carenze d’organico. La solita prassi di tante aziende italiane che ricorrono al lavoro precario per risparmiare? Forse qualcosa di più insidioso, se si considera che il precario del presente di solito è il candidato da battere nei concorsi futuri. Sia per il patrimonio di conoscenze acquisito dall’interno, sia per il punteggio riservato ai titoli posseduti previsto nei vari bandi, che spesso premiano chi ha fatto esperienza in posti simili a quelli dove si aspira di lavorare. Vale per uno che è già “entrato” in un’ente locale o un’azienda sanitaria, figurarsi per una compagine di diritto privato come Acquedotto lucano.
Ieri intanto proprio per discutere dell’inchiesta negli uffici di via Grippo a Potenza si è riunito il consiglio di amministrazione della società, che ha voluto precisare, «pur essendo estraneo ai fatti contestati», di aver operato nel rispetto delle normative vigenti prima del 2008, e in seguito di non aver mai effettuato «assunzioni a chiamata». S’intende a tempo indeterminato. Garantendo con questo la piena collaborazione agli inquirenti a tutela «dell’immagine dell’azienda e del personale tutto».
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