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POTENZA – «Nella stragrande maggioranza dei casi» avrebbe riferito fatti già noti alle cronache. Per il resto soltanto «notizie cervellotiche infarcite da ripetute incoerenze e imprecisioni». Eppure gli hanno creduto lo stesso, almeno fin quando certe “trasgressioni” gli sono costate la revoca del programma di protezione. Perciò tra un mese sarà sentito come un semplice imputato, e non c’è da escludere che ne racconterà davvero delle belle.

E’ previsto per il prossimo 16 ottobre l’interrogatorio del fondatore della famiglia basilisca nel processo d’appello per i suoi “eredi”. O meglio chi l’avrebbe spodestato dando il via alla dissoluzione di quella che un tempo aspirava ad essere la “quinta mafia” operante in Italia, dopo cosa nostra, ‘ndrangheta, camorra e sacra corona unita.

Ma da settembre del 2007, quando Gino Cosentino si è “menato” pentito, tante cose sono cambiate. Il programma di protezione per i collaboratori di giustizia gli è stato revocato, dopo alcune ripetute violazioni dell’obbligo di rientro serale nella sua abitazione e il rinvenimento di un discreto quantitativo di sostanza stupefacento al suo interno. Infine alla scorsa udienza la Corte d’appello di Potenza accogliendo la richiesta formulata da alcuni avvocati ha deciso di acquisire un’informativa del reparto operativo dei carabinieri rimasta a lungo dimenticata nei cassetti della procura. Al suo interno, raccolte in 150 pagine, tutte le bugie e le contraddizioni di Cosentino, qualcosa che potrebbe comprometterne in maniera definitiva la residua credibilità, dopo i dubbi che nel frattempo il Tribunale non ha mai mancato di evidenziare nei suoi confronti.

La data impressa sulla prima pagina dell’atto è 16 dicembre del 2009, e già allora i militari si esprimevano in maniera molto decisa contro il boss pentito, che aveva consentito di recuperare una ventina di chili di hashish in viaggio sulla Potenza Melfi e un paio di pistole.

«A parte il recupero della sostanza stupefacente del tipo hashish (che il collaboratore stesso commissiona a Donato Mancini) il recupero delle due pistole calibro 7,65 e 38 illegalmente detenute (che il Cosentino consegna agli inquirenti  all’atto del suo pentimento) e le marginali dichiarazioni etero/autoaccusatorie concernenti talune truffe perpetrate ai danni gli istituti finanziari potentini – così scrivono gli investigatori del reparto operativo – gli unici elementi di prova che, oltreché inediti appaiono certi e riscontrati  – riguardo ai fatti associativi oggetto dei procedimenti penali sopraccitati, il collaboratore ha fornito nella stragrande maggioranza dei casi solo informazioni generiche e imprecise, limitandosi a riferire in guisa approssimativa e contraddittoria fatti oggettivi processualmente e/o investigativamente acclarati, già divenuti pubblici con ampia eco mediatica, in oridne ai quali – peraltro – ha saputo dire solo ben poco di preciso e null’altro di nuovo».

Quanto poi al merito delle sue dichiarazioni il giudizio dei militari non migliora anzi diventa molto più duro. «Se poi quelli della precisione, della spontaneità , della coerenza, della costanza e della completezza sono i principali requisiti alla luce dei quali valutare le propalazioni dei collaboratori non vi è dubbio che anche sotto tali aspetti il giudizio non può che essere assolutamente negativo nel momento in cui il collaboratore, nel corso dei vari interrogatori, anche se ha nell’immediatezza offerto elementi di novità che apparivano di notevole importanza nello sviluppo delle indagini di criminalità organizzata, si è poi ripetutamente contraddetto sia con riferimento alla natura e alla composizione dei vari gruppi venutisi a creare dopo l’oggettiva framm entazione del clan basilischi».

In particolare gli investigatori del reparto operativo precisano «che su tali contesti il collaboratore ha spesso fornito – in maniera tutt’altro che puntuale – notizie cervellotiche infarcite da ripetute incoerenze e imprecisioni. Invero la comparazione delle varie versioni fornite nel tempo da Cosentino rivela che sin quando allo stesso viene concesso di sproloquiare “a ruota libera” sulle varie argomentazioni di volta in volta affrontate, le sue dichiarazioni – apparentemente lineari – manifestano una parvenza di credibilità, ma non appena è chiamato a dare corpo ai propri assunti da un lato sfiora il patetico e il ridicolo, dall’altro entra a pieno titolo nel campo del mendacio».

Più che una bocciatura sembra un verbale di denuncia, che si conclude con un’altra considerazione sul fatto che Cosentino non sarebbe stato «nemmeno in grado di dare chiarimenti soddisfacenti in ordine al momento “genetico” del suo rapporto di collaborazione». Qualcosa che «non può non minare alla base la sua stessa credibilità gettando u’ombra di dubbio e di incertezza sia sulla effettiva conoscenza di buona parte dei fatti dallo stesso propalati sia per converso sulla completezza e la totalità degli episodi delittuosi a sua conoscenza sui quali evidentemente costui non ha ancora riferito».

1/continua

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