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SIRIA – Sono liberi e al momento si trovano in Turchia i quattro giornalisti italiani trattenuti dal 4 aprile nel nod della Siria. Lo ha annunciato il ministro degli Esteri ad interim Mario Monti.Si tratta di Amedeo Ricucci, inviato della Rai, dei freelance Elio Colavolpe e Andrea Vignali e della giornalisa italo-siriano, Susan Dabbous.«Desidero ringraziare – ha affermato Monti in una nota – l’Unità di Crisi della Farnesina e tutte le strutture dello Stato che con impegno e professionalità hanno reso possibile l’esito positivo di questa vicenda, complicata dalla particolare pericolosità del contesto». Monti, che ha seguito il caso sin dall’inizio, ha manifestato anche la sua «gratitudine agli organi di informazione che hanno responsabilmente aderito alla richiesta di attenersi ad una condotta di riserbo, favorendo così la soluzione della vicenda. Tra loro c’era un calabrese, si tratta di Amedeo Ricucci, nato a Cetraro, in provincia di Cosenza 55 anni fa, in Rai dal 1993 e inviato speciale del programma “La storia siamo noi”. Era a capo di una troupe della quale facevano parte anche il fotografo Elio Colavolpe, il documentarista Andrea Vignali e la reporter freelance Susan Dabbous, impegnati in Siria da giorni a un reportage sperimentale dal titolo “Silenzio, si muore”. Il cronista vive a Roma da anni, ma a Cetraro abitano ancora la madre e la sorella, Rossella, che è sposata con il presidente del Consiglio comunale Luigi Mari. Un’altra sorella e un fratello di Ricucci vivono fuori dalla Calabria. 

 LE PRIME DICHIARAZIONI. «Stiamo bene, stiamo tutti bene. Ci hanno trattato bene e non ci hanno torto nemmeno un capello. Eravamo in mano a un gruppo islamista armato che non fa parte dell’Esercito libero siriano». Lo dice all’Ansa dopo la liberazione l’inviato Rai Amedeo Ricucci. «E’ stato un malinteso», ha assicurato, ribadendo che il gruppo sta bene ma «ovviamente la privazione della libertà è una tortura psicologica». All’inizio «ci hanno presi per spie» e volevano «controllare quello che avevamo girato, temevano che avessimo filmato la loro base logistica», ma «ci hanno messo un sacco di tempo». In Siria, ha detto Ricucci, «è in corso una guerra civile e di spie da una parte e dall’altra».
IL VIAGGIO E LA SCOMPARSA – Da Antiochia, i giornalisti italiani sono entrati nella Siria controllata dai ribelli lo scorso 2 aprile nell’area di Guvecci facendo tappa, tra l’altro, all’ospedale da campo di Yamadiye, di fronte alla località turca di Yayladagi. Il programma era di rientrare ogni sera in territorio turco e, quindi, di mantenersi sempre vicini alla striscia frontaliera tra i due Paesi. Stavano lavorando ad un primo esperimento Rai di giornalismo partecipativo. Ricucci aveva annunciato sul suo blog, alla vigilia della partenza, che con i suoi collaboratori sarebbe stato in Siria dal primo al 15 aprile, realizzando collegamenti ogni giorno via Skype con un gruppi di studenti di San Lazzaro di Savena. I ragazzi della scuola della provincia di Bologna avrebbero dovuto interagire attivamente con i giornalisti sul campo e fornire loro – grazie anche a indicazioni della redazione de “La Storia siamo noi” – spunti e suggerimenti circa notizie da seguire e storie da raccontare. Ricucci e Colavolpe erano già stati assieme nei mesi scorsi per un altro reportage ad Aleppo, sempre prodotto dal canale di approfondimento Rai. Il programma era di rientrare ogni sera in territorio turco e, quindi, di mantenersi sempre vicini alla striscia frontaliera tra i due Paesi. Le loro tracce si sono perse il 4 aprile, quando nel pomeriggio era previsto il collegamento con i ragazzi di San Lazzaro. I cellulari GSM e satellitare di Ricucci e degli altri componenti della troupe da quel momento sono stati irraggiungibili. Oggi la liberazione
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