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TORINO – La presenza della ‘ndrangheta nel Torinese «riproduce pedissequamente le note strutturali interne tipiche della ‘ndrangheta calabrese». Lo scrive il gup Cristiano Trevisan nelle 2503 pagine di motivazione della sentenza con cui lo scorso 3 ottobre sono state condannate con rito abbreviato 58 persone nell’ambito dell’inchiesta ‘Minotauro’. Altre 73 persone sono imputate nel processo in corso presso la maxi-aula del carcere delle Vallette di Torino. Questa «riproduzione pedissequa» è un «dato – aggiunge il giudice – di per sè sufficiente ai fini della sussistenza del reato per il recente orientamento giurisprudenziale».
«Appare evidente che la compagine criminale sia particolarmente attiva nel muoversi nelle dinamiche politiche intercorrenti sul territorio piemontese ed, in particolare, nella Provincia di Torino». Il giudice si riferisce, tra gli altri episodi, alle intercettazioni telefoniche da cui si evince che ad alcuni degli imputati viene «chiesto di attivarsi per sostenere e reperire consensi per la candidatura della onorevole Fassino alle ‘consultazioni primarie’ del Partito democratico» del febbraio 2011.
Dalla lettura delle motivazioni si ricava che, nel 2011, il deputato Domenico Lucà (Pd) contattò Salvatore Demasi, che nelle carte del processo viene indicato come il capo del «locale» di Rivoli (Torino), e gli chiese di «attivarsi per ottenere e reperire consensi» per la candidatura di Fassino alle primarie. In una delle conversazioni telefoniche intercettate dagli inquirenti, Demasi comunica di avere provveduto «per il nostro amico», anche se «la battaglia è complicata» perchè «anche l’altro si è dato da fare»; e Lucà conferma che l’avversario (che altrove indica in Davide Gariglio) «si è dato molto da fare con i calabresi». Sono numerosi gli episodi di tentativo di condizionamento della politica che il giudice Trevisan elenca nella sentenza. Demasi, per esempio, ha avuto contatti, a vario titolo, con Gaetano Porcino, deputato Idv, il consigliere regionale Antonino Boeti (Pd), l’assessore all’istruzione del comune di Alpignano, Carmelo Tromby (Idv), e si è interessato alla campagna elettorale per l’elezione a sindaco di Ciriè del candidato Francesco Brizio Falletti. È inoltre «altamente rappresentativo dell’influenza che la ‘ndrangheta assume nella vita democratica» l’incontro del 2009 fra i presunti boss e Claudia Porchietto, assessore regionale al Lavoro, che all’epoca era candidata del Pdl alla Provincia di Torino. Il giudice afferma inoltre che già nel 2003 uno degli esponenti dei «locali» aveva «intravisto nell’allora assessore regionale ai lavori pubblici, Caterina Ferrero, un possibile referente, a dire degli interlocutori, per l’aggiudicazione di lavori». Si citano poi episodi avvenuti nei paesi di Leinì, Castellamonte, Borgaro Torinese. E tutti sono, in generale, “alquanto eloquenti – commenta il gup Trevisan – per comprendere come gli uomini della consorteria intendano i rapporti con gli uomini politici in termini di continuo sinallagma tra favori fatti e favori da rendere. Ciò non può non allarmare, indipendentemente dall’eventuale buona fede del candidato politico». «Appare evidente che la compagine criminale è attiva nel muoversi nelle dinamiche politiche intercorrenti sul territorio piemontese e in particolare nella provincia di Torino». Lo scrive il gup Cristiano Trevisan, del tribunale di Torino, nelle motivazioni della sentenza del processo di ‘ndrangheta chiamato Minotauro che si è chiuso, per quanto riguarda la parte del giudizio abbreviato, con 58 condanne lo scorso ottobre. Il giudice, fra l’altro, dedica una parte del documento (lungo 2.504 pagine) al tentativo di presunti affiliati di condizionare le primarie del centrosinistra per la scelta del candidato a sindaco di Torino nel 2011. Si parla anche di un tentativo di procurare voti a Piero Fassino ma anche ad almeno un altro candidato, che però nelle motivazioni non viene menzionato. Non risulta però che entrambi fossero a conoscenza del tentativo nè sono mai stati indagati dalla procura nell’ambito del procedimento.
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