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POTENZA – Quando sono arrivati gli uomini della Squadra mobile di Potenza il Quotidiano c’era e può raccontarlo ai suoi lettori in esclusiva. Il telefono del cronista di turno aveva cominciato a squillare qualche minuto prima, mentre era ancora seduto col cappotto addosso davanti al sostituto procuratore Gaetano Bonomi, nel suo ufficio al terzo piano del Palazzo di giustizia di Potenza. Tra loro un’ampia scrivania piena di carte, ritagli di giornale, e una bottiglia di acqua minerale aperta.
Ore 11:32
«Dottore, lei è stato profetico». Uno dei 13 indagati nell’inchiesta “Toghe lucane bis” gli aveva appena detto così. «Sono stati da me. Quanti soldi avranno speso per tutto questo… Ho in mano l’avviso di conclusione delle indagini di Catanzaro». L’altoparlante a questo punto deve aver tradito qualcosa, perchè Bonomi (in foto) si è fatto impaziente. Senza interrompere la conversazione il cronista ha afferrato una penna per scrivergli su un foglio a caso la parola «fine». La sorpresa si è dipinta sul volto dell’anziano magistrato, con le mani rivolte sul petto come per dire: «E a me? Cosa aspettano a farmi sapere?» Questione di secondi e la sorpresa si sarebbe sciolta in un sorriso di cortesia.
Ore 11:35
Gli agenti stavano bussando allo stipite della porta rimasta aperta per tutto il tempo. Un cenno e il cronista si è alzato uscendo dal’ufficio col telefonino ancora incollato all’orecchio. Rientrando in quell’ufficio due minuti più tardi gli agenti si erano allontanati alla ricerca di un impiegato del Tribunale, un altro degli indagati nell’inchiesta “Toghe lucane bis”. Bonomi era impegnato a sfogliare le dieci pagine dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari che gli avevano appena notificato. Qualche minuto per finire una veloce lettura e poi lo sfogo.
Ore 12.10: «Questioni domestiche»
«Questo avviso di conclusione delle indagini è uno zibaldone di natura prettamente domestica in cui vengono fatte confluire emergenze investigative a vario titolo acquisite spesso e volentieri tutt’altro che rilevanti e concludenti ai fini della formazione di un minimo di prova. Premesso che non ci troviamo davanti ad atti di giurisdizione ma ad atti di un pm che, come me, è e resta parte di un processo dico che la partigianeria non può spingersi fino a giudicare rilevanti degli accertamenti condotti in riferimento a delle presunte parti lese che in molti casi sono magistrati in servizio o già in servizio alla procura di Potenza e in altri pubblici ufficiali tipo poliziotti appartenenti allo stesso ufficio dal quale sono state coordinate le indagini conseguenti agli esposti avanzati da queste persone. Quindi in sostanza abbiamo una funzionaria che ha indagato un magistrato che aveva, secondo l’accusa, leso gli interessi e i diritti soggettivi di altre persone a lei legate da rapporti di frequenza e subordinazione. E’ chiaro che aveva l’obbligo di astenersi, che a me viene contestato di aver violato, ma sicuramente lo è stato da chi, una volta lette le carte, avrebbe dovuto dire: “Ma io non posso indagare su fatti denunziati dal dottor Woodcock quando fino a ieri ho lavorato al suo fianco”».
Ore 12:14: «Un inquisitore a mezzo servizio»
«Dall’impalcatura, se impalcatura si può qualificare, di quest’avviso traspare una prima considerazione evidente: una difesa a oltranza, non una valutazione a oltranza di tutto quello che è stato l’operato della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Potenza nel corso degli ultimi 6/7/8 anni. Questa difesa ad oltranza poi fa registrare dei picchi veri e propri con riferimento ad alcuni capi d’imputazione specifici. Per esempio di uno di questi che atterrebbe alle utilità e i vantaggi da me dati all’avvocato Piervito Bardi con il quale abbiamo avuto tante volte scontri e confronti nelle aule d’udienza, ma al quale non sono stato mai legato da rapporti di amicizia, si arriva a dire addirittura che io avrei avuto l’obbligo di astenermi dall’occuparmi di una certa pratica essendo a lui legato da stretti vincoli di amicizia. Io non so questa circostanza da dove emerga, l’ho già dichiarato nel corso dell’interrogatorio avuto con i due pm di Catanzaro il 2 novembre, ma se emergesse da una dichiarazione testimoniale sarebbe sicuramente un falso e nei confronti del suo autore io formulo fin da oggi denuncia per falso, calunnia e tutti gli altri reati ravvisabili, tanti dei quali sono stati snocciolati in maniera davvero notevole, al di là delle “più rosee previsioni”. Altro aspetto che suscita non poche perplessità è quello in cui si ipotizza a carico mio e di un altro collega che io avrei commesso tentativo di abuso d’ufficio nel momento in cui, chissà perchè, avrei informato alcuni avvocati di Potenza che loro avevano la possibilità di proporre la ricusazione nei confronti di un magistrato della Corte d’appello. Testualmente io leggo che nel corso di queste mie condotte illecite io avrei addirittura compiuto: “Un pesante attacco alle prassi investigative e interpretative della Procura di Potenza”. Un attacco che avrei compiuto nel corso della mia requisitoria. La cosa mi sorprende non poco sotto due profili. Primo: mi si vorrebbe impedire di valutare, sia pure nel corso di una requisitoria, quella che è stata la condotta di un altro ufficio della Procura della Repubblica italiana, quindi secondo questi magistrati sarei dovuto essere un inquisitore a mezzo servizio. Cioè nel momento in cui avrei rilevato delle prassi investigative non conformi a quella che io ritenevo la legge avrei dovuto astenermi dal valutare. Secondo: nessuno mai mi impedirà di dire quello che penso e men che mai la Procura di Catanzaro. La Procura della Repubblica di Potenza non è la Corte suprema di cassazione e non mi risulta che le prassi investigative e interpretative abbiano valore giurisdizionale o giurisprudenziale. C’è un sindacato di giurisdizione che non può essere ignorato.
Ore 12:21: «Le parti offese»
«Anche le posizioni delle ulteriori parti lese andrebbero commentate. Mi riferisco al procuratore Galante che dopo essersi “dimesso”, e sottolineo le virgolette, va accampando che la causa sarebbero state mie presunte o reali iniziative. Ricordo a tutti che quando intese presentare domanda per il posto di procuratore venne a bussare letteralmente alla mia porta e mi chiese se avevo intenzione di partecipare dal momento che avevo buone possibilità di farcela dal momento che tra me e lui esisteva solo un anno di differenza di carriera e il mio curriculum erano altrettanto valido. Gli dissi in buona fede che non ero interessato in quel momento e mi offrii di accompagnarlo da un noto esponente politico di caratura nazionale ad Avellino che prestava attività collegata da un punto di vista istituzionale e avrebbe potuto sostenere la sua candidatura a livello associativo. E ci andammo con il figlio, su una Saab turbo per la precisione. Ricordo anche che Galante mi chiese se avevo interesse a far parte di una commissione notarile, mi sembra che all’epoca il figlio non avesse ancora partecipato al concorso che poi ha vinto. Quindi a oggi la mia ostilità è tutta da dimostrare».
Ore 12:30: «Quali prove?»
«Che dire poi delle altre imputazioni? Queste elaborazioni tecniche viaggiano su un piano di pura fantasia nel momento in cui arrivano ad affermare, per esempio quando parlano di rivelazione di segreto d’ufficio e calunnia in relazione all’elaborazione di esposti calunniosi contro altro collega, che io sarei stato il coordinatore, il mandante l’ispiratore di tutte queste attività delegittimatorie. A onor del vero io non ritengo che con riferimento a questi fatti sia stata citata una e una sola prova, uno e un solo riscontro in grado di supportare queste violazioni che mi vengono contestate. Diversamente io ritengo che nel corso dell’interrogatorio già prestato gli inquirenti avrebbero avuto il dovere di indicare la presunta, presumibile fonte di prova che in realtà non è mai stata indicata. E qui, anche dall’elaborazione di questi capi d’imputazione, a leggerli con un minimo di attenzione, io vengo indicato, ripeto, come mandante delle operazioni delegittimatorie ma non viene indicato come, e perchè e di che cosa sarei stato il mandante. Che dire poi dell’imputazione per abuso d’ufficio con riferimento alla vicenda dei carabinieri. E’ una vicenda citata, ricitata, analizzata, rielaborata in sede amministrativa, disciplinare e penale con l’esclusione per me di qualsiasi addebito sia disciplinare che penale. Chi non ha elaborato quegli addebiti è entrato in corpore vivi e ha concluso che non c’era alcun presupposto perchè gli venisse contestata. Ora si è rimestato, rielaborato una vicenda risalente al 2007 senza che le argomentazioni già utilizzate dal dottor Capomolla e dalla dottoressa Di Girolamo (il pm e il gip che hanno richiesto e disposto l’archiviazione della prima Toghe lucane, ndr), siano state superate in fatto e in diritto da elementi concreti. Si rimescolano vicende riguardanti il colonnello Improta, i miei rapporti con due ufficiali dei carabinieri supportati sotto il profilo assolutorio da documentazioni alle quali abbiamo fatto riferimento e che i magistrati si erano riservati di acquisire, ma che non hanno evidentemente acquisito perchè altrimenti non potevano lasciare in piedi queste imputazioni. In sintesi posso dire che considerate le capacità tecnico giurisdizionali evidenziate a tutto ieri da un certo dottor De Magistris e confrontate con questa teoria di investigatori era molto meglio l’originale che la fotocopia. Mi auguro ci siano momenti di più serena valutazione da chi sarà chiamato a leggere lo zibaldone dove si dice tutto e il contrario di tutto come a proposito dell’obbligo di astensioni»
Ore 12:45: la notizia dal Csm
«Comunico che il Consiglio superiore della Magistratura nella seduta del 14 dicembre ha adottato la delibera di cui il seguente estratto verbale». Bonomi non aveva ancora finito la sua lettura ragionata delle accuse che gli vengono mosse dalla Procura della Repubblica di Catanzaro quando è squillato il telefono sulla scrivania. Il procuratore generale Massimo Lucianetti aveva qualcosa da comunicargli. Bonomi si è alzato ed è tornato due minuti dopo. Nel frattempo nel suo ufficio era arrivata anche la figlia e il genero Antonello Molinari. Il magistrato, accusato di essere a capo di due diverse associazioni segrete, teneva in mano la nota con cui il Csm ha accolto la sua domanda di collocamento a riposo per anzianità. Inoltre, valutata la sua professionalità e il curriculum, gli viene conferito il titolo onorifico di «procuratore generale aggiunto della Corte di cassazione (…) parificato ad ogni effetto giuridico ed economico» fino al 1 aprile 2012. «L’indagine della Procura di Catanzaro non ha creato manco un secondo di problema nella mia testa, nel senso che è un’indagine che com’è nata così finirà, cioè in un’emerita e chiara bolla di sapone. Basta enucleare le singole ipotesi criminose per capire che è un susseguirsi di forzature più o meno deliberate poste sul nulla. Detto questo il motivo per cui ho deciso di andare in quiescenza non è minimamente collegato a quest’indagine ma unicamente a un fatto che ha creato dei motivi di perplessità, ossia che dei colleghi magistrati del Consiglio giudiziario di Potenza hanno espresso parare nel senso che esisteva una incompatibilità possibile dovuta al fatto che mio genero svolgeva attività nel settore della giustizia penale. Questo nonostante una puntuale istruttoria documentale fatta dal capo del mio ufficio che avrebbe dovuto portare a risultati del tutto diversi. Siccome questi colleghi hanno ritenuto all’unanimità che ci fossero i presupposti perchè venisse sanzionata da parte del Consiglio superiore della magistratura questa incompatibilità, ho deciso di collocarmi in pensione. Personalmente sono rimasto nauseato da questa operazione. Dirò che se un giorno qualcuno si metterà a verificare se e quali ipotetiche incompatibilità ci sono all’interno di questo Tribunale ne troverà a iosa. Qualcuno parla in questi corridoi di un giudice che è stato qui per molti anni ad occuparsi del penale avendo parenti che facevano gli avvocati. Su queste cose nessuno mai ha detto niente. Evidentemente che un procuratore generale che svolge attività inquirente in secondo grado, e gli addetti ai lavori sanno che vuol dire, diventa incompatibile per il fatto che il suo genero che fa 2/3 cause all’anno in Corte d’appello svolge attività nel settore penale. Però non si illudessero le persone che hanno provocato questa mia fuoriuscita, perchè io a Potenza ci resterò e ci tornerò come avvocato e mi divertirò in molte occasioni a partecipare alle udienze tenute anche da alcuni di questi colleghi durante le quali io gli guarderò negli occhi chiedendo giustizia non per me questa volta ma per i miei molti clienti che assisterò e che ho deciso di assistere. Di me non si sono affatto liberati».
Ore 12:50: «La caccia all’uccello»
«Per quanto riguarda invece i colleghi della Procura di Catanzaro ben avrebbero potuto, volendo, come dice qualcuno, chiedere anche misure sospensive e interdittive ma evidentemente bontà loro non le hanno chieste. Io se sparo la cartuccia sparo quando so di potere colpire l’uccello, ma se invece so che sparo a salve allora non sparo proprio. Evidentemente questi colleghi pensavano o si erano illusi fino a un certo punto di sparare. Poi tutto quello che hanno saputo fare oggi è stato quello di elaborare questo avviso di conclusione delle indagini preliminari nel quale anche lì sostanzialmente sparano a salve perchè elaborano una serie di capi d’imputazione assolutamente inconfigurabili, inconfigurati e del tutto inconsistenti, perchè non hanno nessun supporto reale, concreto con i fatti elaborati».

Leo Amato

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